venerdì 23 maggio 2014

Europa al voto. Ma fatta l'Europa bisogna fare gli europei.

Quando alcuni mesi fa passeggiando per il Paseo de la Castellana a Madrid, nei pressi della Rappresentanza Permanente della Commissione Europea, vidi un mega cartello con su scritto "European Year of Citizens 2013" ovvero Anno Europeo dei Cittadini 2013, la domanda che mi sono fatto è stata: ma chi se ne è accorto? Ovviamente nessuno o quasi. Neanche un occhio un po' più sensibile a questo tipo di tematiche come il sottoscritto, ha notato l'esistenza di un anno interamente dedicato dall'Europa ai suoi cittadini. Ci ricordiamo delle tante tasse, leggi e leggine imposte da Bruxelles. Ma la presenza di un anno europeo del cittadino ai più è completamente sfuggita. Ed il motivo è semplice: nessuno ha creato un'identità di cittadino europeo sin da quando è nato il progetto europeo. Ma c'è anche dell'altro. Se si associa all'Europa solo la parola burocrazia, in un secolo in cui il mondo cerca la semplificazione normativa, è chiaro che qualche problema di comunicazione verso l'esterno esiste. Se si associa alla parola Europa solo un'eurocrazia incomprensibile, in un secolo in cui la gente chiede più trasparenza, evidentemente c'è qualcosa che non va. Chi sa per esempio che il 9 maggio di ogni anno, almeno dal 1964, si celebra la Festa dell'Europa? Ovviamente nessuno o quasi.  

A partire da ieri, tutti e 28 i paesi dell'Unione sono stati chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento Europeo, una Camera di rappresentanti provenienti da tutto il continente, che avrà il compito di eleggere la nuova Commissione e approvare il bilancio UE per i prossimi cinque anni. Se però chiediamo a un passante qualsiasi chi erano i candidati alla Presidenza della Commissione, dubito che qualcuno di loro conosca la risposta.

In pochi sanno che circa l'82% dei decreti legislativi approvati dal nostro parlamento è attuazione di direttive europee. E non è difficile pensare che qualcosa di simile avvenga anche negli altri paesi dell'UE. 
Di fronte a uno scenario simile, con una presenza sempre più crescente dell'Europa nelle nostre vite quotidiane, non è più possibile ridurre le elezioni europee ad elezioni di serie B, fomentando l'astensionismo. Non si può far vincere il confronto elettorale a chi parla di quanto brutta e cattiva sia l'Europa, mentre chi dovrebbe raccontarci quanto è bella e utile questa invenzione di Schuman, Spinelli, Adenauer e Monnet, tace e si concentra su questioni di tutt'altro genere.
Bisogna ripartire dall'educazione e dalle nuove generazioni. Spiegargli cos'è l'Europa, e soprattutto cos'era il nostro continente prima che nascesse l'Unione. Mi sembra il minimo se si vuole evitare lo sfascio di uno dei progetti politici più interessanti e lungimiranti della storia del nostro continente. 


AV

giovedì 1 maggio 2014

Reddito minimo. Ma è davvero una priorità?

E' normale che in una data come l'1 maggio si parli di lavoro come motore per la ripresa. Ma per parlare di lavoro bisogna che questo paese si responsabilizzi e riprenda fiducia in sé stesso lavorando, rimboccandosi le maniche e facendo camminare il cervello. 
I migliori fermenti per una ripresa a tutti i livelli sono le idee e per avere idee bisogna pensare, avere fantasia e soprattutto osare. Un paese che non ha idee è un paese che non ha futuro. Se l'idea più ingegnosa per far ripartire il paese sono 80 euro in busta paga o il reddito minimo garantito, in una gara a chi la spara più grossa tra Renzi, Grillo e Berlusconi in vista delle europee, allora non abbiamo imparato proprio nulla da 7 anni di crisi e recessione. 
La crisi andava vista come un'occasione per capire i nostri errori, dove abbiamo sbagliato, cosa va corretto. Ma a guardare l'attuale dibattito elettorale sembrano cambiati solo i protagonisti. Per il resto, chi governa o chi si candida a governare il paese, persevera con gli stessi atteggiamenti. E perseverare si sa, è diabolico! 

Ma parliamo di reddito minimo garantito, che è poi il motivo di questo post.  

Se passasse l'idea di istituire una prestazione sociale del genere - esistente in quasi tutti i paesi europei meno Italia e Grecia - purtroppo nella furba Italia, soprattutto centro-meridionale, sappiamo bene cosa succederebbe. Sarebbero molti ad approfittare dell'aiuto di stato pur non avendone diritto. Per non parlare degli effetti psicologici che avrebbe su una popolazione che vive di assistenzialismo: la gente smetterebbe di cercare lavoro e, quel che è peggio, smetterebbe di ingegnarsi per crearlo. Nel profondo e immaturo meridione d'Italia, dove vi sono diffuse situazioni di degrado, un aiuto del genere potrebbe risollevare gli animi e le speranze di molti ma non finirebbe di produrre quel circolo vizioso che oggi vede alcuni lavorare in nero metà dell'anno e nel frattempo ricevere ingiustamente il sussidio di disoccupazione. Sono situazioni molto diffuse nel meridione e, anche se in misura minore, nel resto d'Italia. Un paese dove lo stato viene visto più come un nemico da fottere che come un pezzo della nostra vita quotidiana. 
Prima di affrontare questioni come il reddito minimo garantito, bisogna infatti affrontare il tema del sommerso, del lavoro nero, dell'evasione fiscale e della lotta alla corruzione. E' impossibile continuare con un'Italia a doppia velocità in uno stato centralista come il nostro. Forse in un sistema federale avere un paese a doppia o tripla velocità non avrebbe gli stessi effetti, ma così com'è l'Italia (fiscale) non può permetterselo. Come dimostra un documento dell'Unità di Informazione Finanziaria del 2012 in Trentino ogni 100 Euro di imposta versata alle casse dello stato quelli evasi sono 20,31. Al sud si va dai 64,47 Euro del Molise ai 59,77 della Campania e ai 56,86 della Sicilia. Più del doppio. Statistiche che non fanno altro che evidenziare la forte distanza tra nord e sud Italia, che non ha paragoni in nessuna parte d'Europa. 

Prima di parlare di reddito minimo di cittadinanza bisogna quindi recuperare una parte del paese e riportarla alla legalità. Bisogna combattere la grossa evasione fiscale dei colletti bianchi e la fisiologica evasione fiscale del meridione d'Italia. Bisogna riportare alla luce del sole il lavoro in nero, incentivando la creazione di posti di lavoro e la nascita di aziende che siano in grado di produrre cose utili, di essere competitive e innovative sul mercato globale. Bisogna quindi promuovere la formazione - sulla quale si è lucrato attraverso una pioggia di fondi europei sprecati e senza alcun controllo - per avere profili di qualità al servizio delle nostre imprese e organizzazioni. Bisogna sviluppare un piano infrastrutturale e di manutenzione dell'esistente, soprattutto nel sud del paese. Infine, una volta che si saranno appianati i vari squilibri tra le due Italie, a quel punto sì che avrà senso parlare di reddito minimo garantito. 
Il paese va riunificato secondo una sensata autonomia regionale, priva di qualsiasi demagogia. Perché qui, o si fanno le riforme di cui sopra e nell'ordine appena elencato o - parafrasando una frase cara al nostro Risorgimento - si muore!

AV