martedì 11 febbraio 2014

Forza Italicum, Porcellinum, Pregiudicatellum o Spagnolum?

Legge elettorale: perché il modello spagnolo segnerebbe un passo indietro per l’Italia.

Se si esclude la pur lunga stagione DC/PCI, possiamo ben dire che l’Italia non è mai stata un paese squisitamente bipolare. Va però anche detto che la galassia di partiti che dagli anni 70 in poi hanno caratterizzato la vita politica del paese ha regalato all’Italia una ingovernabilità culminata con il famoso governo Prodi del 2006 sostenuto da undici tra partiti e partitini – magari me ne sfugge qualcuno – e che si reggeva in piedi al Senato per due/tre voti. Situazioni come questa o come quella uscita dalle urne alle scorse elezioni del 2013, vanno evitate perché non fanno altro che regalare una perenne instabilità di governo che porta il paese a non far decidere un fico secco.
Ammesso e non concesso che il dibattito sulla nuova legge elettorale sia così importante da far dedicare all’argomento intere settimane e intere pagine di giornali, credo che prima di fare una riforma elettorale la questione più importante sia sapere qual è l’obiettivo di tale riforma.
A mio avviso, lo scopo di qualsiasi legge elettorale dovrebbe essere da un lato quello di garantire la rappresentatività del corpo elettorale. Dall’altro lato, quello di assicurare la governabilità del paese, decretando, all’indomani del voto, vincitori certi e in grado di dar vita a governi stabili.
Tuttavia, sulla base dell’accordo Renzi e Berlusconi, e che esclude moltissime altre forze politiche che in questo processo di negoziazione dovrebbero entrare, mi sorge spontaneo sottolineare che c’è un terzo aspetto che va considerato quando si parla di riforma elettorale. La legge elettorale deve infatti garantire lo svolgimento dei lavori parlamentari in maniera democratica, oltre al rispetto della costituzione. Perché dico ciò? Dico ciò perché in questi giorni non si fa altro che parlare di premi di maggioranza (già tacciati di incostituzionalità), di assenza di preferenze e soprattutto di sistema spagnolo.
Ora, è vero che il sistema elettorale spagnolo – sistema pensato all’indomani della morte di Franco – abbia garantito una certa stabilità a tutti i governi che si sono succeduti da allora in poi in Spagna. È però anche vero che quel sistema non garantisce la piena rappresentatività dei suoi cittadini. La scena madre di questa strana democrazia è, per esempio, quella che si presenta quasi puntualmente nel Congresso dei Deputati al momento del voto in aula, quando il capogruppo del partito di maggioranza alza la mano, indicando ai suoi compagni cosa votare. Se con la mano indica il numero uno i colleghi di partito voteranno sì, se indica il due questi si asterranno, con il tre l’intero gruppo voterà no. Così facendo, l’indipendenza del parlamentare viene praticamente ridotta a una perenne obbedienza al partito-caserma che detta a oltranza la linea guida di governo e parlamento, in una leggera confusione tra potere legislativo ed esecutivo. Ma c’è dell’altro. Chi vota contro la linea del partito rischia addirittura una multa interna da 100 a 500 euro, come è stato spiegato in un recente programma televisivo qui in Spagna, e molto probabilmente non verrà ricandidato nel listino.
Se da un lato l’attuale sistema elettorale spagnolo è servito a far affermare nel paese iberico una certa stabilità bipolare, dall’altro lato la scarsa cultura di partecipazione alla vita pubblica dei cittadini spagnoli ha permesso che dagli anni ’80 in poi fossero solo due grossi partiti, PP e PSOE, a fare il bello e il cattivo tempo. Salvo poi scoprire che la presenza di questa oligarchia onnipotente, che governa l’intero paese, regioni comprese, ha di fatto responsabilizzato molto poco il cittadino spagnolo.
Per dirla tutta, il modello spagnolo – che molti in casa nostra vorrebbero copiare – in realtà è un modello che va indietro rispetto alla bruttissima legge elettorale attuale e soprattutto rispetto al Mattarellum, dove erano previste le preferenze, al pari di stati come Belgio e Olanda, o di alcuni paesi scandinavi.

Prendere spunto da questo sistema elettorale per la nostra riforma sarebbe dunque un errore, soprattutto perché non terrebbe conto degli effetti che può produrre dal punto di vista della partecipazione del cittadino-elettore, il quale delegherebbe il suo voto ad un partito (e non ad un singolo individuo), allontanandosi ancora di più dalla vita pubblica del paese.

Personalmente, non mi sembra una bella conquista in un momento in cui l’Italia ha veramente bisogno di una rigenerazione democratica.

Il modello spagnolo:
- non prevede le preferenze;
- fa sì che i partiti piccoli non riescano quasi mai ad ottenere più di 15 seggi;
- dopo 35 anni ha creato un'oligarchia composta da PP (centro-destra) e PSOE (centro-sinistra) difficile da scrostare;
- ha fatto sì che il voto in aula dei parlamentari in Spagna avvenga dopo l'alzata di mano del capogruppo del partito che indica al resto del gruppo come votare, intaccando così l'indipendenza di ogni singolo deputato;
- ridurrebbe la partecipazione dei cittadini italiani nella vita pubblica del paese.