domenica 23 dicembre 2012

Ecco i provvedimenti che questa legislatura non ha mai approvato!

E' stata persa un'occasione! Quante volte durante il corso di quest'ultimo anno, di fronte allo scadere della legislatura e all'inazione del nostro parlamento su alcune questioni fondamentali, abbiamo sentito pronunciare questa frase. Ci avevamo sperato, eppure di fronte all'emergenza ci nessun atto di solidarietà è arrivato da parte dei nostri parlamentari. In effetti, sarebbe stato come chiedere a un ladro di tagliarsi tutte e due le mani. Impensabile chiedere a questa classe di nominati di rinunciare alle proprie rendite di posizione. Mentre è avvenuta con evidente celerità tutta quella serie di provvedimenti che prevedevano nell'immediato una rinuncia economica per i cittadini italiani. D'altronde, con uno spread schizzato a oltre 570 punti base nei confronti dei bund tedeschi bisognava dare una risposta per ridurre la quota di interessi da noi dovuta agli investitori. La cosa più immediata da fare era far pagare il prezzo ai comuni cittadini. 
Nel frattempo, tutta una serie di misure necessarie, e che avrebbero potuto portare qualche soldo in più nelle casse dello stato, non hanno mai visto la luce. 

Ecco l'elenco:


  • Taglio degli stipendi parlamentari: un provvedimento dovuto, per equiparare le indennità ai nostri rappresentanti a quelle dei loro colleghi europei. Le somme recuperate sarebbero servite a dare maggiori risorse ai giovani e invece per l'ennesima volta il provvedimento è finito su un binario morto;
  • Riduzione del numero dei parlamentari: anche questo provvedimento, che avrebbe dovuto riportare il nostro paese in linea con gli altri paesi europei nel rapporto popolazione/parlamentari (ci supera solo il Regno Unito), è morto. Per ridurne il numero si era addirittura pensato alla creazione di una commissione ad hoc che avrebbe di fatto aumentato il numero dei soggetti presenti in parlamento;
  • Legge elettorale: con l'abolizione delle preferenze e un parlamento di nominati, ridare voce agli elettori era un atto dovuto. Non aver abolito questa legge in questa legislatura, più che un'occasione persa è stato reiterare nuovamente la porcata;
  • Ddl svuota carceri: a nulla è servito lo sciopero della fame di Pannella! Nemmeno la minaccia di morte dell'esponente radicale è riuscita a far approvare un disegno di legge che avrebbe dato grande prova di civiltà oltre ad essere un gesto generoso da parte del parlamento in prossimità delle feste natalizie. Anche qui, «sarebbe stata una pagina bellissima», secondo le parole del ministro della Giustizia, Paola Severino. Purtroppo, ci limitiamo a constatare l'ennesima occasione persa;
  • Taglio province: a causa di una pioggia di emendamenti in commissione affari costituzionali al Senato, è saltato anche il taglio di alcune province. Un'occasione per riorganizzare la macchina dello stato, e che la politica ha percepito come un modo per vedersi sottratti consensi e poltrone;
  • Tassa sui grandi patrimoni: togliere ai ricchi per dare ai poveri? Non sia mai. Anche qui, provvedimento non pervenuto.
AV

domenica 16 dicembre 2012

L'abbraccio mortale a Mario Monti

Ormai è chiaro che la proposta di Berlusconi a Mario Monti, di guidare tutto il rassemblement dei moderati, è una polpetta avvelenata servita al premier uscente. Se il professore infatti decidesse di accettare questo ruolo non farebbe altro che ricevere il marchio e la benedizione di colui che la comunità internazionale ha ormai bollato come inaffidabile. Quella stessa comunità internazionale che ha già esternato il proprio endorsement nei confronti di Monti e di quest'anno di governo. 
E' inoltre ridicolo che chi la scorsa settimana ha di fatto sfiduciato politicamente questo governo in parlamento, oggi proponga una riedizione dello stesso. Delle due l'una: o questa esperienza di governo è piaciuta oppure no. Nessuno è stupido, e sappiamo bene che l'ennesima giravolta di Silvio Berlusconi e del Pdl è il frutto della figuraccia rimediata dall'ex premier lo scorso 13 novembre al vertice del PPE. Con l'invito a sorpresa di Mario Monti, Silvio Berlusconi, uno dei leader più di lungo corso nella storia dei popolari europei, è stato di fatto sfiduciato dal gotha del partito. Uno schiaffo. L'ennesimo dopo quello del 16 novembre 2011, e che ha costretto Berlusconi a una nuova trovata politica in vista delle imminenti elezioni. 


A questo punto, possiamo attenderci davvero di tutto. Dispiace soltanto che Mario Monti si trovi costretto a entrare nell'agone politico, abbandonando quasi del tutto la sua istituzionalità super partes. A mio avviso, l'unica soluzione politicamente possibile dopo le prossime elezioni è un governo di centro-sinistra guidato da Bersani e allargato all'area filomontiana, con il professore al Quirinale. Berlusconi e i populisti lasciamoli pure a casa. 

AV

giovedì 13 dicembre 2012

Ok a Monti premier. Ma i consensi?


Sicuramente, la strada tracciata da Mario Monti per il risanamento economico e culturale del paese è una strada irreversibile. Una strada dalla quale difficilmente, qualsiasi governo di qualsiasi colore potrà discostarsi. E le parole di oggi pronunciate da Pierluigi Bersani (unico candidato premier al momento) non fanno altro che avallare questo concetto. Insomma, che Mario Monti e il suo operato siano una risorsa per il paese, ça va sans dire. Il problema al momento pare essere un altro. La candidatura di Monti a presidente del consiglio senza un consenso tale da permettergli di tornare nuovamente a Palazzo Chigi.  Per intenderci: se è vero che al momento la candidatura di Monti è auspicata da mezza Europa, così come dai mercati finanziari e dagli stessi USA, è anche vero che al momento le forze politiche che sosterrebbero Monti non riescono a superare il 10%. Fini, Casini, Montezemolo, e ci metto pure Oscar Giannino, non hanno infatti una proposta sufficiente a contrastare la coalizione di centro-sinistra di Bersani che oggi punta al 40%. Anche se i sondaggi darebbero Monti premier al 45%, i partiti che appoggerebbero la sua candidatura viaggiano su una soglia molto più bassa. E allora? E' sufficiente il solo endorsement esterno, sia che venga dal PPE o dalla Germania? Evidentemente no. 

Queste elezioni saranno quelle dall'esito più imprevisto nella storia della seconda repubblica. Con uno spacchettamento dei vecchi partiti e nessun candidato premier se non Bersani, le macerie del ventennio si faranno sentire ancora per molto. Certo la famosa agenda Monti (incompiuta per moltissimi aspetti) può essere un punto di forza per il ritorno di Monti a Palazzo Chigi ma non può essere l'unico fattore distintivo. Ci vuole il consenso. E il consenso in democrazia passa per le urne.
Bisogna quindi attrezzarsi per trovare una proposta in grado di tradurre in consenso parlamentare quel 45% di votanti che vorrebbero il ritorno di Monti alla premiership. Due mesi alle elezioni e ancora nessuno si è attrezzato.    

AV

domenica 9 dicembre 2012

La candidatura di Berlusconi è la metafora del conservatorismo italiano

Un manifesto elettorale di Silvio Berlusconi datato 1994
Un anno fa, poco dopo l'insediamento del governo Monti, mi chiedevo se Berlusconi non stesse preparando la sua Salò . Alla luce di quanto accaduto nei giorni scorsi, mai interrogativo fu più azzeccato. In questo lungo anno di assenza, il silenzio di Berlusconi non era affatto un'uscita di scena. Del resto, il cavaliere non l'ha mai annunciata. Molti commentatori internazionali l'avrebbero data per scontata. Non è che quando un primo ministro di qualsiasi paese europeo esce di scena poi rientra dalla porta di servizio (come fa oggi Berlusconi). Schroeder, Chirac o Aznar piuttosto che Blair non potrebbero mai rientrare nell'agone politico del loro paese. Sarebbe inusuale. Lontano da quel galateo politico che non vieta a nessuno di ricandidarsi cinque, dieci o venti volte, ma che presume almeno il buon senso di non farlo. 
L'anno salvifico del professor Monti si conclude così con un retrogusto amaro, proprio a causa dei capricci del Re Sole. Un Re Sole che da vent'anni tiene in ostaggio un paese che consapevolmente si fa soggiogare dalla peggiore propaganda politica. E di propaganda soltanto si muore di fame. La rivoluzione liberale non c'è stata, la lotta alla corruzione e agli sprechi di roma ladrona, di leghista memoria, nemmeno. E nonostante ciò, Berlusconi ha ancora il coraggio di candidarsi, dimostrando di avere ancora presa sull'elettorato italiano con una campagna che si preannuncia all'insegna dell'antimontismo, del no tasse e del no Europa. All'insegna di quelle bugie e di quelle menzogne che hanno ancora la loro suggestione su una certa parte di elettorato italiano. 
Eppure, noi popolo di trasgressori, siamo la vera e propria anomalia d'Europa se pensiamo che chi diventò Presidente della Repubblica francese nel 1995, Jacques Chirac, oggi non fa più politica. Così come José María Aznar, che diventò primo ministro spagnolo nel 1996, e che oggi si occupa di tutta'altro. Andiamo poi in Inghilterra, dove Tony Blair diventato premier britannico nel 1997, mai e poi mai sognerebbe di ricandidarsi come primo ministro alle prossime elezioni. Stessa storia in Germania, altro grande paese europeo, dove Gerard Schroeder, diventato Cancelliere nel 1998, è ormai lontano dai riflettori pubblici. 
Alle prossime elezioni 2013, noi italiani, volenti o nolenti, avremo invece come candidato alla presidenza del consiglio, lo stesso uomo sceso in campo nel 1994. Il sintomo di un'Italia, ahimè, estremamente conservatrice.

AV

lunedì 3 dicembre 2012

Complimenti a Bersani, ma le primarie non garantiscono la governabilità nel 2013

Incredibile ma vero, a pochi mesi dal voto conosciamo soltanto un candidato premier: Pierluigi Bersani. Dopo la straordinaria esperienza delle primarie, il Partito Democratico e la coalizione di centro-sinistra sono gli unici soggetti dello scenario politico italiano ad avere un proprio candidato premier ed una proposta - ancorché poco definita - di governo del paese. Per il resto, gli altri soggetti politici appaiono più come quegli studenti che a una settimana dagli esami non hanno ancora aperto i libri. Dominati dalla mancanza di chiarezza e dal forte tatticismo, nessuno dei partiti che si candideranno alle prossime elezioni sembra attraversato da una discussione interna come quella che ha portato alle primarie del centro-sinistra. Dalla caserma berlusconiana, ormai in preda alla confusione, al soggetto elettorale di Casini, Fini e Montezemolo (troppo poco rappresentativo dal punto di vista dei consensi), nessuno si sta preparando alle prossime elezioni con  grande serietà, così come richiederebbe il momento. Il fattore Monti ha sicuramente spiazzato tutti ed è il sintomo dell'enorme debolezza in cui è piombata la politica italiana o almeno quella parte di schieramento moderato, liberale e tendenzialmente di centro-destra. 

Intanto, il centro-sinistra italiano si è ricompattato e ha dato prova di unità, ma ciononostante non riesce a superare la tradizionale soglia del 35%. Quello stesso 35% che, sin dai tempi del PCI, è lo zoccolo duro della sinistra italiana. Segno questo, che l'Italia morirà democristiana e che la mancanza di una cosa in stile balena bianca sconvolge ogni pronostico? Può darsi. Intanto Bersani e Vendola, ma anche lo sconfitto Renzi, raccolgono l'entusiasmo e la partecipazione di milioni di cittadini che hanno riscoperto parole come piazza e partecipazione. Mentre, dall'altro lato si brancola ancora nel buio, senza comprendere che di tatticismi si può anche morire. Chi ci guadagna in tutto ciò? Forse la sinistra, ma soprattutto la vera incognita di questa campagna elettorale: Il Movimento 5 Stelle. Sepolta la Lega, l'Idv e in parte il berlusconismo più radicale, Grillo e i suoi fagociteranno, verosimilmente, scontenti ed estremismi di vario genere. 

Complimenti quindi a Bersani, ma ahimè la strada verso un governo stabile e credibile del paese è ancora tutta in salita. Anche se si andasse a votare con questa legge elettorale, il centro-sinistra non sarebbe autosufficiente.

AV

venerdì 30 novembre 2012

La Palestina fa fallire la politica estera europea

Il voto all'Assemblea Generale dell'ONU potrà pur essere una vittoria per il futuro della Palestina, che da oggi è a tutti gli effetti uno stato osservatore (decisione che secondo molti aprirebbe la strada alla nascita di uno stato palestinese). Potrà pur essere una sconfitta per Israele. Purtroppo, dal nostro punto di vista, ad uscire a pezzi ancora una volta è l'inesistente diplomazia europea che ieri ha votato in ordine sparso sulla risoluzione. Qualcuno si era adoperato sin dalle prime ore nella costruzione di una pilatesca posizione comune, con l'astensione di tutti e 27 gli stati UE. Un tentativo fallito ... continua a leggere

domenica 25 novembre 2012

Dal PD tre esercizi di democrazia




Finalmente anche in Italia hanno imparato a fare le primarie. Non che le primarie di oggi del centro-sinistra assomiglino, anche minimamente, a quelle degli Stati Uniti, ma almeno si è trattato di una consultazione meno farsa rispetto alle precedenti edizioni. Sicuramente, di strada ce ne ancora da fare. Ciò che però è certo è che il Partito Democratico ha sdoganato una tendenza tipica della democrazia partecipativa. 
Ora, si può tacciare il PD di qualsiasi colpa, di inciuci, di non aver fatto nulla o poco contro Berlusconi, di aver chiuso un occhio sul conflitto di interessi, di non saper scegliere tra Casini o Vendola. Tuttavia, un grande merito va riconosciuto al partito di Bersani: il grande esercizio di democrazia dimostrato in tutti questi anni. Il primo esercizio è quello di aver rifiutato l'idea di partito personale, in un'Italia fatta di partiti personali. Il secondo è quello di aver scelto la strada del governo Monti, laddove l'andare a nuove elezioni avrebbe visto con quasi certezza la vittoria di una coalizione di centro-sinistra. Infine, il terzo esercizio di democrazia è quello cui abbiamo assistito in questi giorni ovvero le primarie. Certo, se non ci fosse stato l'outsider Renzi, forse non avrebbero avuto il successo e l'attenzione ricevuti. Ma indipendentemente dai candidati e dai risultati, bisogna riconoscere al PD un diritto, quello di essere stato, in questa difficile stagione politica, un partito degno del suo nome: democratico appunto. 

AV

martedì 20 novembre 2012

Bocciata la comunicazione dei governi europei

Mancanza di chiarezza e di credibilità da parte dei governi nel comunicare la crisi dell’euro: è questo il pesante giudizio che emerge da un recente sondaggio online condotto sui comunicatori di 23 paesi da Infinite Latitude rete globale di agenzie di Relazioni Pubbliche, di cui fa parte Competence come rappresentante italiano del network.

Su circa 100 professionisti operanti in aziende e in agenzie di consulenza, l’81% ha dichiarato che i governi non sono stati in grado di comunicare in maniera credibile un percorso chiaro verso una soluzione alla crisi. Allo stesso modo, il 77% dei comunicatori intervistati sostiene che i governi non sono riusciti a presentare una visione chiara di come sarà l’Europa del futuro dopo la crisi.

Questa indagine internazionale che abbiamo svolto online tra comunicatori che lavorano in azienda o nelle agenzie – commenta Lorenzo Brufani, General Manager di Competence – ci indica chiaramente come i governi e le autorità europee purtroppo non sappiano comunicare con chiarezza ed efficacia alla gente le cause che sono alla base della crisi europea. È la palese dimostrazione di come le istituzioni non abbiano saputo impostare delle iniziative di comunicazione in grado di spiegare in modo semplice e pratico quali soluzioni intendano adottare per uscire dalla crisi e veicolare in modo positivo quella che sarà l’Europa del futuro.”


I risultati parlano chiaro ed esprimono giudizi molto negativi: in una scala da 1 a 5, il punteggio medio assegnato sulla capacità di comunicare le cause della crisi è di 2,3, così come la capacità di comunicare una soluzione alla crisi è 1,8 e addirittura a 1,72 quando si tratta di valutare quanto i governi abbiano veicolato una immagine chiara su come dovrebbe essere l’Europa unita del futuro, dopo la crisi. 


Alcuni dei risultati emersi dal sondaggio

Sembra quindi che i duri provvedimenti che molti governi europei hanno dovuto imporre ai propri cittadini vengano vanificati dagli scarsi sforzi di comunicazione messi in campo. 
D'altronde, sacrifici di tale entità andrebbero giustificati con obiettivi chiari e di lungo periodo. Obiettivi che devono necessariamente rimandare ad un guadagno futuro di gran lunga più consistente rispetto alla rinuncia presente. Non aver spiegato le misure prese in questa chiave è un errore che si sta già ritorcendo contro gli esecutivi europei.

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AV

domenica 18 novembre 2012

21/12/2012: la profezia dei Maya!

Una scena tratta dal film The Day after Tomorrow
Se i Maya avevano in mente una fine del mondo in senso stretto, forse si sbagliavano. Se invece, come molti credono, la fine del mondo che avevano in mente per il prossimo 21 dicembre è la fine di un ciclo, allora credo che la profezia sia prossima a realizzarsi. Certo, di cambiamenti in questi ultimi anni ne abbiamo visti parecchi: l'uccisione di Bin Laden, l'ascesa della Cina e di altre potenze globali, la crisi dell'euro, il primo afroamericano alla Casa Bianca, le primavere arabe, la caduta di regimi feroci come quello di Gheddafi. Cambiamenti importanti che fungono da preludio a quello che stiamo vivendo in queste settimane. Settimane decisive per gli equilibri mondiali che, come in uno shock che virtualmente si è dato appuntamento il 21 dicembre 2012, potranno rivelarsi determinanti per le sorti del mondo. Tre i fatti determinanti, a cui ne va aggiunto un quarto. 

1) Il "fiscal cliff" americano: se nei prossimi giorni non venisse approvato dal Congresso americano un provvedimento in grado di evitare il precipizio fiscale, l'economia americana rischia di piombare nel caos e di trascinare con sè l'intera economia mondiale. Il mancato rinnovo degli sgravi fiscali, promossi da Bush e poi proseguito anche con Obama, rischia di far schizzare il deficit americano alle stelle;

2) Le tensioni tra israeliani e palestinesi: lungo quasi un secolo, il conflitto che in questi giorni sta prendendo piede nella striscia di Gaza rischia di infiammare l'intera regione e di gettarla nel caos. Il tutto mentre la diplomazia americana non ha più un segretario di stato come la Clinton (che rimarrà in carica fino a gennaio) e il Pentagono risente del duro colpo subito con lo scandalo Petraeus;

3) La nuova Cina di Xi Jinping: con l'elezione del nuovo segretario del Partito Comunista cinese, Pechino si prepara ad affrontare le sfide di un paese che continua nella transizione verso lo sviluppo ormai non solo economico. Il miglioramento degli standard di vita della classe media e la lotta alla corruzione, che questo nuovo segretariato promette di riformare, renderanno la Cina un soggetto sempre più importante anche al di fuori degli scenari economici;

4) La crisi europea: anche se ormai da anni il vecchio continente sente pesare come un macigno sul proprio destino la stretta dei mercati, la ripresa della crisi è ancora lontana. Nei prossimi anni, infatti, l'Europa rischia di impoverirsi ancora di più e di dover rilanciare la propria crescita su nuove basi e su una maggiore integrazione.

Forse i Maya avevano ragione. Ma chi si aspetta terremoti e catastrofi naturali si rassegni.


AV

venerdì 16 novembre 2012

#Bechoosy

Care aziende e cari recruiter,

Noi siamo choosy. E lo siamo per scelta.
Ma questo non vuol dire che siamo schizzinosi, anzi: non abbiamo mai lesinato gli sforzi per racimolare qualche soldo durante i nostri studi, abbiamo servito ai tavoli dei ristoranti, spinto carrelli durante l'estate, fatto migliaia di telefonate nei call-center. E questo mentre studiavamo alle scuole superiori, e poi molti di noi proseguivano all'università specializzandosi in lettere, economia, filosofia, ingegneria, comunicazione, lingue e tante altre materie dai nomi altisonanti. Continua a leggere.

mercoledì 7 novembre 2012

Four more years.



"Four more years."

Certo rivedere Obama eletto, sentire il suo discorso sull'eguaglianza dei diritti, su quel paese che a sprazzi sembra avvilupato troppo su se stesso, ascoltare il suo "the best is yet to come", il meglio deve ancora venire. Beh tutto questo ha ancora il suo effetto. Così come vedere il tweet più retweettato di sempre, con l'immancabile Michelle. Nonostante la crisi, nonostante le tante promesse non mantenute, l'arte oratoria di Barack Obama riesce ancora a sedurre. Eppure, elettori democratici americani e cittadini europei a parte, l'elezione di Obama non è riuscita a sedurre i mercati internazionali, con le borse europee tutte in rosso e il Dow Jones che oggi ha chiuso a -2,13%. Ma non è tutto. Nella stessa giornata in cui il sogno americano da a sè stesso la sua seconda possibilità, in un "yes we can" atto secondo, le agenzie di rating alzano il cartellino rosso contro gli USA. Se infatti la spesa pubblica americana non verrà contenuta adeguatamente, la prima economia del mondo potrebbe subire lo storico declassamento da parte di Moody's e Fitch. A far scattare l'allarme, la possibilità di un mancato accordo tra repubblicani e democratici sul cosiddetto fiscal cliff, il pacchetto di sgravi fiscali messi a punto dall'amministrazione uscente per rilanciare l'economia del paese e le cui risorse scadranno il prossimo gennaio. Dove Obama troverà le risorse per rifinanziare un nuovo eventuale pacchetto di aiuti resta un mistero. D'altronde, l'economia (assieme alla politica estera) sono sempre stati il tallone d'Achille di Barack. Quel che è certo è che a poche ore dall'elezione del suo presidente, la finanza americana sembra battere cassa anche nei confronti della madre patria. E' il segno questo che ormai non si tratta più di finanza americana o inglese ma di una finanza globale con sede legale negli States o nella city londinese. Una finanza fluida e immateriale, ma soprattutto in grado di influenzare pesantemente le scelte del congresso americano così come quelle del parlamento britannico e in parte quelle di Bruxelles. Una finanza ormai a briglie sciolte e in grado di rovinare la festa del resuscitato sogno americano.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il secondo mandato di Obama non sarà affatto una passeggiata.

AV

domenica 4 novembre 2012

Non poteva non sapere!

L'Italia è un paese dove domina sovrana una visione della politica che sembra più una partita di calcio. Un'arena dove il gusto di fottere la squadra avversaria trionfando agli occhi di tutti come il vincitore è più forte di ogni tentazione. Per carità, non che in politica non esistano vincitori e vinti. Il fatto è che per decretarli ci sono le elezioni, finite le quali gli eletti hanno il dovere di governare e di farlo bene. Nelle democrazie normali funziona così. In Italia, invece, i nostri politici credono di vivere in una perenne campagna elettorale, più impegnati in risse da pollaio che a governare. Nell'ultimo anno le cose sono andate un pò diversamente, e l'insofferenza della politica è lì dietro l'angolo. Dover stare meno negli studi televisivi e più nelle commissioni parlamentari, parlare meno e fare di più: che tortura! Quello che non hanno capito è che l'ultimo anno trascorso è solo l'antipasto della buona politica. E negli ultimi 20 anni di buona politica nemmeno a parlarne! Abbiamo un debito pubblico malato di elefantiasi, servizi pubblici scadenti, siamo fanalino di coda rispetto al resto delle economie avanzate: basti pensare a Piazza Affari la cui performance è scesa dal nono al ventesimo posto nel giro di 10 anni (anche Madrid ha fatto meglio). La cosa ancor più triste è che, dopo tutti i soldi spesi per mantenerli, per fare quattro riforme alla sbrigativa i nostri politici hanno addirittura dovuto chiamare dei tecnici. Manca poco che anche la legge elettorale la faccia il governo per decreto per incapacità nel mettersi d'accordo. E così, il vero spreco è aver pagato della cattiva politica così profumatamente, e quel che peggio con i nostri soldi. Quei soldi che sono ormai l'unica ragion d'essere di ogni politico, dal consigliere provinciale a quello regionale, passando per gli scranni più alti. Soldi e potere che hanno fatto entrare nelle stanze del palazzo gente priva di ogni onore: altro che "onorevoli"! Certo, non siamo tutti uguali. Fare di tutta l'erba un fascio è un reato. Ma come ci insegna il padre politico di questa Italia, Giulio Andreotti, "a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". 

E così, quando scopriamo che anche le verginelle della poltica hanno preso a piene mani soldi destinati alla vita pubblica (che poi quanto cacchio ci deve costare sta vita pubblica di scarsissima qualità) viene proprio la tentazione di fare di tutta l'erba un fascio. Ho votato Di Pietro e ho militato in quel partito con una tessera che ho tenuto per un solo anno (per fortuna, mi sento di dire adesso). Scoprire che nessuno è immune da quel vecchio verme italiano chiamato inciucio, casta, corruzione o più comunemente mancanza di rispetto per gli altri, fa pensare che non basterà una terza repubblica o un Monti bis per estirpare il grande cancro di questo paese. Non poteva non sapere, tuonava Tonino in toga contro Bettino Craxi durante gli anni di mani pulite. Così come, sempre in quegli anni, fuori dall'hotel Raphael il giovane Franco Fiorito - detto "er Batman" - tirava le monetine contro Craxi.  

Giovani rampanti e pieni di ideali. Oggi, maturi ed esperti, ... non potevano non sapere!

AV

lunedì 15 ottobre 2012

"Six decades of peace and democracy in Europe"

"For over six decades contributed to the advancement of peace and reconciliation, democracy and human rights in Europe"

With this motivation, last Friday the Oslo academy decided the Nobel Peace Prize for the European Union. Many have criticised the decision as happened in 2009 for Barack Obama's Nobel. At that time, I agreed on that criticism since Obama had not proven yet to deserve such a prize. His administration had really little time to cope with world peace. One year was not enough either for him or any other one. I believe that on that occasion political marketing prevailed over reality. A good intention does not exactly mean a good action. It is a plus, of course. Especially after a decade of US politics inspired to Bush JR's "hawky" wars. But that doesn't make of Obama ... more on #USofEurope

mercoledì 26 settembre 2012

Egoísmos de Europa

Mientras Europa entera está en plena crisis - y no es solo crisis financiera sino crisis para todo el sistema de la UE - lo que el viejo continente no necesita es lo que está pasando en esta última época en países como España o Italia. Los últimos de la clase en Europa tienen en efecto una degeneración de sus líderes políticos que intentan seguir como antes en frente de una crisis histórica que pide objetivamente un cambio de ruta. Un cambio con respecto al pasado: un pasado de gastos y ... sigue leyendo en #USofEurope

sabato 5 maggio 2012

Miseria e gattopardi

L'ora è giunta. Il tanto atteso momento del rinnovo di tante amministrazioni locali è infatti imminente. Eppure queste elezioni saranno molto diverse rispetto a quelle cui abbiamo assistito finora. Anzitutto perchè questa tornata elettorale segna il crollo delle formazioni partitiche tradizionali. Mai si è visto infatti un proliferare di liste civiche dove i partiti stanno al traino. Trucchetti elettorali per non metterci la faccia vista la cattiva fama di cui godono le formazioni partitiche? Può darsi. Ma c'è anche un'altra ragione a mio avviso. Esiste infatti l'esigenza di interpretare la politica al di là degli schieramenti. I partiti sono ormai etichette che poco si prestano ad interpretare la società contemporanea. Cosa divide un cittadino di sinistra o di centro da uno di destra se tutti e tre sono capaci e in grado di amministrare la propria città? Nulla! Assolutamente nulla! E a livello nazionale, la risposta cui la stessa politica non ha saputo dare risposta si chiama Governo Monti, dove centro, destra e sinistra stanno assieme per evitare il fallimento dello stato italiano. 

E' possibile un governo di salute pubblica anche per le amministrazioni locali? Non solo è possibile ma è doveroso. Senza partigianeria ed estremismi, le forze più produttive e intelligenti di ogni città dovrebbero infatti unirsi e spendersi per il proprio territorio. Ma per farlo bisogna evitare la demagogia, il populismo e soprattutto il vecchio vizietto del clientelismo. Un esercizio, quello di rinuncia al clientelismo e al voto di scambio, che deve partire prima di tutto dai cittadini-elettori. E' difficile, specialmente nel meridione d'Italia, non chiedere ad un politico un posto di lavoro, una licenza per aprire un panificio, una visita medica o la spesa per un mese. Eppure, queste sono richieste da miseria, richieste che fa e soddisfa chi vuole vivere nella miseria. Bisogna invece chiedere a colui che votiamo di creare lavoro e le condizioni per lavorare e non il semplice tozzo di pane che dura da Natale a Santo Stefano. Bisogna chiedere contratti e non lavoro in nero. Bisogna chiedere una città più pulita e non sporca e sudicia. Bisogna aprirsi ad accogliere turisti presentando il posto in cui si vive con orgoglio. Bisogna lasciare amministrare chi non usa o userebbe soldi pubblici per mettere su la propria baracca. Giocare con il lavoro o con la salute dei cittadini, costringendoli a votarti in cambio di lavoro o prestazioni sanitarie gratuite è infatti quanto di più miserabile un popolo possa sopportare. E purtroppo questo e' uno spaccato del meridione d'Italia. E' lo spaccato di una regione come la Sicilia, che ha subito l'umiliazione di vedere amministrata la sua terra da due presidenti indagati e arrestati (è il caso di Cuffaro) per reati gravissimi. E' la fotografia delle prossime elezioni comunali dove il rischio che cambi tutto per non cambiare nulla, come ci ricorda Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo, è sempre dietro l'angolo. 

Buon voto a tutti!

AV

domenica 29 aprile 2012

Fondi UE 2007-2013. Intervista all'Eurodeputato Niccolò Rinaldi

Ad un anno circa dalla scadenza, l’Italia non ha ancora impegnato le risorse che le spettano dal Fondo Sociale Europeo. A fine 2011, infatti, su oltre 15 milioni di euro soltanto poco più del 30% veniva richiesto. Il restante 70% risultava non impegnato, e nei primi mesi dell’anno la situazione non accenna a migliorare. Eppure, in un’Italia fortemente indebolita dalla mancanza di risorse pubbliche, quello della mancata spesa dei fondi europei diventa un tema di dibattito che sta facendo discutere una parte, anche se minima, dell’opinione pubblica Abbiamo cercato di capire le ragioni del perché l’Italia storicamente rinunci a spendere questi finanziamenti europei assieme all’eurodeputato Niccolò Rinaldi, capogruppo dell’Italia dei Valori al Parlamento Europeo e Vice Presidente dell’ALDE (Alleanza dei Liberal Democratici Europei). Continua su glieuros.eu

AV

lunedì 26 marzo 2012

Meno critiche e più esempi!

In questi giorni di passione in cui si continua a discutere con forza di riforma del mercato del lavoro, agitando il famoso spauracchio che l'abolizione dell'Art.18 dello Statuto dei Lavoratori (targato 1970) favorisce i licenziamenti facili, torna con grande forza il vero problema italiano: il rinnovo. In particolare, mi riferisco al ricambio generazionale. Che il nostro non è un paese per cambiamenti, riforme o addirittura rivoluzioni è sotto gli occhi di tutti così com'è altrettanto evidente che questo è un paese per vecchi. A qualsiasi osservatore esterno, l'Italia appare infatti come un paese che privilegia le fasce di età più adulte a scapito delle giovani. Dal sistema delle pensioni alla tutela, costi quel che costi, del proprio posto di lavoro, ogni indizio del pianeta Italia conferma questa tesi. Il tutto mentre le nuove generazioni, cui per decenni si sono prospettati guadagni e condizioni di vita migliori rispetto al passato, si vedono strappare via un'opportunità dopo l'altra a causa delle ingessature di cui le vecchie generazioni non desiderano liberarsi. E' comprensibile quanto sia difficile rinunciare ai vari privilegi accumulati nel corso del tempo. Dopo tutto a cadere sotto le grinfie della maledetta abolizione dell'Articolo 18 non sono mica i tanti giovani che un contratto a tempo indeterminato non sanno nemmeno cos'è, ma quei tanti lavoratori che oggi possiedono molte, forse troppe, tutele rispetto alla loro produttività. Una tutela minima va garantita a qualsiasi lavoratore, questo sia ben chiaro. Sono conquiste irrinunciabili e tipiche di un welfare moderno. Ciò che però è diventato intollerabile è la presenza di certi feticci che le vecchie generazioni faticano a seppellire. E tra questi totem vi è la partecipazione dei giovani alla vita pubblica. Non è un segreto che i giovani stentino a trovare una collocazione nel mondo del lavoro per via dei troppi e confusamente distribuiti meccanismi di protezione sociale (sussidi di disoccupazione, cassa integrazione ordinaria e straordinaria, assegni familiari e indennità varie); allo stesso modo, le elevate rendite di posizione guadagnate nel tempo da una certa fascia di uomini politici (di donne nemmeno a parlarne) sono tali da impedire un necessario ricambio generazionale nella vita pubblica italiana. 

Un giovane può sbagliare ed essere più inesperto rispetto ad un vecchio. Può essere meno pragmatico e più superficiale. Può anche avere una visione della vita più fluida e veloce rispetto ai tempi dei cari genitori, zii e nonni. Eppure, se fin qui siamo arrivati non è certo per colpa di noi giovani "inesperti". Noi giovani "inesperti" abbiamo soltanto ereditato questo stato di cose. Ecco perchè quando qualche adulto ci apostrofa come "dilettanti", soffermandosi più sul fatto che essere giovani non significa necessariamente essere bravi, mi sento di rispondergli con la frase che più di tre secoli fa scrisse il filosofo francese Joseph Joubert: "i giovani hanno più bisogno di esempi che di critiche". E in quanto ad esempi, cari genitori, zii e nonni, negli ultimi decenni non ve la siete cavati benissimo.

AV

venerdì 23 marzo 2012

Non c'è democrazia senza società civile


Da sempre la  filosofia politica moderna si è occupata del concetto di socità civile. Da Hobbes ad Hegel, passando per Comte e Marx, qualunque filosofo abbia trattato di politica ha affrontato l'argomento cercando di pervenire ad una definizione, come tradizionalmente accade in filosofia. Riassumere i vari approcci nei confronti della materia sarebbe impossibile, data la brevità che richiede uno strumento come il blog. E però a mio avviso, l'approccio di Hegel alla definizione di società civile è quello più interessante, specialmentee quando il filosofo di Stoccarda ci parla del concetto di soddisfazione dei bisogni. 
In effetti è proprio così. Chi se non la società civile è più adatta a rappresentare e soddisfare i bisogni della cittadinanza. Se guardiamo alla società d'oggi, la lezione hegeliana è quanto mai attuale. La società civile è infatti un attore intermedio essenziale tra il singolo cittadino e le istituzioni, un anello di congiunzione tra due mondi troppo distanti. I partiti, a cui è stata storicamente demandata questa funzione, hanno fallito in quest'opera di rappresentazione degli interessi, sia a livello locale che nazionale. Obsoleti ed autoreferenziali, le formazioni politiche così per come le conosciamo oggi non rispondono più alle esigenze della società contemporanea. Non dico che i partiti non servano più e non siano importanti all'interno di una democrazia, ma il mondo è molto più vario di come i partiti ci insegnano a rappresentarlo, almeno in Italia. La dialettica dei guelfi contro i ghibellini, dei comunisti contro i fascisti, dei bianchi contro i neri, non regge più. Quella narrazione della società è finita. Lo hanno capito bene gli scandinavi, i tedeschi e i popoli nordeuropei in generale, così come gli americani. Destra e sinistra esistono solo per convenzione, perchè dietro quelle due macrocategorie c'è una galassia di realtà. Movimenti, associazioni, professioni, sindacati e imprese. Per questi paesi tutto quello di cui è fatta una società è degno di essere ascoltato e di essere consultato preventivamente in merito alla governance. Diventa un bisogno più che una legge o un'imposizione. E' come se si trattasse del bisogno di far sentire i propri bisogni. Quei bisogni o necessità di cui ci parlava Hegel e che qualunque società emancipata e libera ha bisogno di esprimere e di vedere soddisfatti. Purtroppo, sono in molti a parlare di società civile descrivendola come una mera espressione alla moda, di recente scoperta. Ma è un pò come chi un secolo fa faceva fatica a digerire la parola democrazia. Oggi sarebbe impensabile vivere senza democrazia. Ci vorrà forse un altro secolo, ma verrà il giorno in cui sarà impensabile per chiunque la vita di una comunità senza l'apporto della società civile.

AV

giovedì 22 marzo 2012

La nuova costituzione ungherese non piace alla giustizia europea.

Dopo l’approvazione della nuova costituzione da parte del Parlamento ungherese lo scorso 30 dicembre, la Commissione europea decide il 17 gennaio di aprire tre procedure d’infrazione per altrettanti provvedimenti contenuti nella riforma costituzionale. Budapest risponde entro i 30 giorni previsti. Il 7 marzo Bruxelles decide di continuare l’iter di due delle tre procedure d’infrazione. Adesso, il governo ungherese ha altri 30 giorni di tempo prima che la Commissione deferisca alla Corte di Giustizia europea il paese governato da Viktor Orbán.

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sabato 3 marzo 2012

Pecorella

Il NO TAV Bruno Marco mentre provoca un carabiniere in servizio d'ordine in Val di Susa
Ieri mentre mi trovavo per lavoro a Genova, ho anche avuto il tempo di fare un giro per le vie della città. Genova è fantastica. Le sue vie strette, le edicole votive erose dall'aria salmastra, la sua cucina povera e le sue atmosfere che a tratti mi ricordano la Turchia occidentale. Genova sa di città come Smirne, che con la sua torre dell'orologio sembra ricordare la lanterna di Genova, o di Istanbul, che con il suo quartiere di Galata porta ancora impressi i segni della colonizzazione genovese. Poi ti guardi intorno e vedi che a insozzare le mura di questa splendida città ci sono molte, forse troppe, scritte. Alcune di queste recitano: NO TAV. Una scritta che campeggia ovunque ormai in Italia da Milano a Roma. E' come se dalla Val di Susa fosse partita una crociata che sta invadendo tutto il paese. Una marcia ideologica che ha lo scopo di impedire che quell'opera che vuole perforare le Alpi "distrugga" la vallata.   Per chi invece ha iniziato i lavori della TAV anni fa pende come una spada sulla testa la grande colpa di non aver ascoltato prima il parere della gente della valle. Non tanto perchè sarebbe cambiato il risultato (la TAV si sarebbe fatta comunque) ma perchè almeno si sarebbe evitato lo scontro frontale tra istituzioni e popolazione locale. Il dialogo ed una comunicazione più soft sulla realizzazione dell'opera non avrebbero infatti portato a tutto ciò. Il diritto a manifestare è sacrosanto per una democrazia che voglia definirsi tale, ma è ormai troppo tardi. Le manifestazioni sono diventate proteste e le proteste sono diventate a loro volta scontri. L'ormai famoso "pecorella" del provocatore della valle è infatti il simbolo di chi  anzichè manifesta provoca, cercando lo scontro a suon di insulti. "Pecorella" è la prova regina di ciò che avviene dietro le quinte delle tante forse troppe manifestazioni che immobilizzano l'Italia. Il "pecorella" di oggi è lo stesso "pecorella" di ieri che racconta mio padre, quando da giovane agente di polizia in servizio d'ordine a Milano era costretto - così come il carabiniere in Val di Susa - a subire gli insulti e le provocazioni della piazza che a suon di sputi inveiva contro la polizia. Quarant'anni dopo, noi italiani siamo costretti ad assistere sempre e solo alle stesse scene.

AV

martedì 28 febbraio 2012

Il lobbying sbarca anche in Italia

Ormai da quasi un anno a questa parte, la parola lobby e il termine lobbying sono entrati di diritto a far parte del vocabolario televisivo e giornalistico italiano. Nessuna contezza è stata però data sull'essenza di questa professione, spesso denigrata e descritta come sporca o come sinonimo di affarismo. Fortunatamente, il governo dei tecnici e dei professori ha mostrato molta attenzione al tema delle lobby. D'altronde, un esecutivo nato per "salvare il paese dal baratro" e soprattutto per svecchiarlo non poteva che mostrarsi interessato al fenomeno delle lobby e alla sua regolamentazione. Sapere in maniera trasparente e pubblica che a Palazzo Chigi può accedere, su appuntamento, il responsabile delle relazioni istituzionali di Pirelli così come quello di Finmeccanica, credo faccia dormire sogni tranquilli a tutti. Il problema della trasparenza delle lobbying è infatti una questione di democrazia e di civiltà. E' il segnale di una società che non ha bisogno di nascondersi, di interessi economici che possono essere tutelati alla luce del sole. L'1 febbraio, il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania, ha reso trasparente l’attività delle lobby nei confronti del suo dicastero grazie alla creazione di un registro dei lobbisti ammessi. L'ufficio di presidenza di Palazzo Madama nella giornata di martedì ha invece approvato le linee guida che confluiranno nel regolamento «per sistemare meglio l'accesso dei lobbisti in parlamento», come ha dichiarato lo stesso Presidente Schifani durante la sua visita in Commissione Industria. Schifani ha concluso dicendo che «il parlamento deve essere lasciato in pace mentre lavora». Ovviamente, lasciare in pace il Parlamento non significa escludere i lobbisti dal processo decisionale ma includerli in esso. E per farlo non serve solo un registro. Serve una rivisitazione di quel vocabolario televisivo e giornalistico che vede nel lobbista e nelle lobby un male assoluito.Un lobbista invece è, non tanto un rappresentante di interessi soggettivi legati a un entità, ma un consulente vero e proprio per i lavori parlamentari. Si tratta di un contributo utile a migliorare una materia o a disciplinarla secondo esigenze più rispondenti alla realtà e meno ai formalismi arcaici cui il nostro paese è troppo abituato. 

AV

domenica 5 febbraio 2012

The Iron Lady

La locandina del film The Iron Lady
In questi giorni è nelle sale cinematografiche il film The Iron Lady, con la bravissima Meryl Streep nei panni della Lady di Ferro, come venne battezzata l’ex premier britannico Margaret Thatcher dai sovietici. Prima donna premier nella storia del Regno Unito, la Thatcher è una delle figure più controverse dell’Europa postbellica. I suoi detrattori l’hanno sempre accusata di ultraliberismo, di aver messo in campo politiche a vantaggio dei ceti più abbienti e di aver usato il pugno duro contro le fasce più povere. E poi l’asse con il presidente USA, il repubblicano Reagan, che fece dei due i campioni del neoliberismo cinico in quegli anni ’80 in cui l’Italia macinava debito pubblico che sarebbe costato caro alle attuali generazioni. Eletta nel ’79, la Thatcher si fece carico di un paese disastrato dall’inflazione, dalla crisi petrolifera degli anni ’70, e pervaso dai continui scioperi dei sindacati. The Iron Lady diede il via ad una stagione di riforme che fino ad oggi incidono positivamente sulla vita dei cittadini di Sua Maestà. Liberalizzazioni e privatizzazioni massicce, ma anche la riforma di servizi pubblici come l’NHS, il servizio sanitario nazionale inglese, un modello di sanità pubblica efficiente. Persino il laburista Blair, dopo quasi 20 anni di governo conservatore (Thatcher-Major), si guardò bene dallo stravolgere le riforme “thatcheriane”.

Eppure, quelle riforme non furono indolore. Proteste, attentati, scontri, feriti e vittime. Anche se in condizioni diverse, l’Italia di oggi ricorda un po’ l’Inghilterra degli anni ’80. Un’economia stagnante, un paese vecchio e fatto di privilegi dai costi insostenibili. Manca il coraggio di crescere ed essere competitivi. Le famose liberalizzazioni con cui tutti si riempiono la bocca da anni, nessuno vuol farle. Non si possono scontentare le categorie che si trincerano dietro il loro status quo mentre il Titanic affonda, altrimenti alle prossime elezioni non ti votano. Per fortuna, abbiamo un governo che non deve farsi rieleggere, l’unico in grado di avere il coraggio sufficiente per mettere in campo quelle dure riforme, che tanto malcontento generarono nel Regno Unito. L’attuale governo è stato chiamato per svecchiare il paese, per salvarlo dal baratro del debito pubblico, per ammodernarlo, e le liberalizzazioni fanno parte di questo processo. Chi oggi si oppone alla loro realizzazione è un nemico della libertà – come ci suggerisce la stessa radice della parola. Libertà di comprare un servizio piuttosto che un altro, libertà di scegliere al prezzo a me più conveniente, libertà di avere tutti le stesse opportunità. E perché no, libertà di poter cambiare lavoro, anche se ciò deve essere il frutto di una libera scelta e non della scadenza di un contratto. Per fare tutto ciò bisogna però avere coraggio. Il coraggio di non ascoltare i lamenti del malato mentre gli si somministra l’amara ma necessaria medicina. È un coraggio necessario. Un coraggio che capì bene Margaret Thatcher e quanti all’epoca la votarono per ben tre volte come leader del loro paese. Alla fine il malato inglese guarì. E questa è storia. 

AV

mercoledì 25 gennaio 2012

Francia vs Turchia, una querelle intempestiva?

La nuova legge francese sul genocidio armeno potrebbe rivelarsi un boomerang

Lo scorso 22 dicembre l’Assemblea nazionale francese ha approvato una legge che prevede una multa di 45.000 euro e fino ad un anno di carcere per chi nega l’esistenza di uno dei genocidi riconosciuti dalla Francia. Tra questi figura, ma già dal 2001, anche quello degli armeni per mano turca avvenuto durante il primo conflitto mondiale. Dal punto di vista storico, secondo la comunità armena tra il 1915 e il 1916 i turchi deportarono e sterminarono circa 3 milioni di armeni.

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