sabato 23 aprile 2011

Ad personam

Nella perenne lotta tra procure e  Presidente del Consiglio, in questa parodia di guardie e ladri,  Silvio Berlusconi riesce sempre a farla franca. E non perchè sia riuscito a dimostrare la sua innocenza. Tutt'altro. La fa franca solo grazie alla sua posizione privilegiata di orchestratore del Parlamento. Un direttore d'orchestra in grado di far suonare ai suoi la musica più idonea a estinguere i suoi processi. D'altronde, lo ha ricordato lo stesso Carlo Taormina, ex legale del premier, in un'intervista ad Alessandro Gilioli sul blog Piovono Rane. «Ho lavorato per anni per Berlusconi, conosco le sue strategie. Quando ero il suo consulente legale e mi chiedeva di scrivergli delle leggi che lo proteggessero dai magistrati, non faceva certo mistero del loro scopo ad personam. E io gliele scrivevo». Un'ovvietà pazzesca. Un'ovvietà che nessun organo di informazione ha però riportato , troppo impegnata com'è la stampa a dare visibilità alla macchina del fango perennemente pronta ad incriminare le procure, a delegittimare il potere giudiziario e a crocifiggere mediaticamente chiunque si frapponga fra Berlusconi e la tenuta del potere. Una corte di Ayatollah che non fa altro che difendere l'indifendibile e giustificare l'ingiustificabile. E non mi riferisco solo a quei 314 parlamentari che il 14 aprile scorso hanno prostituito la loro onorabile carica votando l'ennesima legge ad personam, quella sul processo breve. Ma a quegli altri 314 che il 6 aprile, avendo sollevato il conflitto di attribuzione sul tribunale idoneo a giudicare Silvio Berlusconi sul caso Ruby, hanno di fatto sostenuto la tesi che la ragazza fosse la nipote di Mubarak. E poi ci sono i cittadini elettori del premier che danno ancora credito a chi ha il solo obiettivo di usare la propria carica pubblica per sfuggire a quei processi che la nostra legge - grazie al cielo - consente ancora di celebrare quando si delinque, si corrompe, si ricicla denaro, si hanno rapporti con il malaffare e così via.

Se è vero che gli esempi che vengono dall'alto - buoni o cattivi che siano - sono in grado di condizionare i comportamenti delle nuove generazioni, è allora altrettanto vero che questa classe dirigente sta offrendo gli spunti per spezzare il tessuto delle regole democratiche riportandoci indietro al far west se non alla legge della giungla.  Quando un ministro della repubblica tuona "fora di ball" con riferimento agli immigrati o esibisce il dito medio ai giornalisti per evitare di rispondergli. Quando un altro ministro manda a fare in culo la terza carica dello stato durante un dibattito alla Camera.  Quando si arrivano a tirare i giornali in testa o a mangiare mortadella e stappare champagne per la caduta di un governo ci rendiamo conto di come la pratica strida molto con la teoria. La gestione della cosa pubblica andava data in mano ai migliori, ai più preparati e non a chi arranca con approssimazione nelle scelte e volgarità nel linguaggio. Spesso ci sentiamo ripetere che è l'italiano a scegliere, il cittadino elettore. Il problema è che ancor prima degli esiti elettorali c'è la legge. In uno stato di diritto non è infatti nè il cittadino nè il Parlamento a stare al di sopra di tutto, bensì la legge. Quella legge suprema che nel nostro paese si chiama Costituzione della Repubblica Italiana.

In un paese spaccato in due, nel perenne con me o contro di me voluto dal caro Berlusconi, è inevitabile l'accentuarsi delle differenze. Specie se la lotta è condotta con arroganza  e ad armi impari come sta facendo l'attuale maggioranza di governo, spesso maggioranza anche in molte amministrazioni locali. Un'arroganza sempre più in grado di creare rancori e mal di pancia che le future maggioranze politiche non dimenticheranno facilmente. Spaccature in grado di portare a vendette personali ed in cui l'oggetto del contendere non è più la gestione ottimale della cosa pubblica, ma una politica fatta di personalismi e beghe. Accorciando i tempi di prescrizione Berlusconi avrà pure salvato sè stesso dal processo Mills, ma non ha affatto salvato il paese. Lo sta invece gettando in una guerra tra bande e vecchi satrapi che avrà inizio con il tramonto del suo impero di carta. E c'è già chi affila i coltelli da tempo.

AV