sabato 31 dicembre 2011

Ma è così sporca la lobby?

Il Congresso americano a Washington
Ormai da qualche tempo la parola lobby è entrata di diritto a far parte del nostro vocabolario. Ma quanti sanno cosa significa questa parola di origine anglosassone vista spesso come qualcosa di sporco e negativo?
Il dibattito sull'etimologia del termine è molto acceso. C'è chi fa derivare il termine dal latino medioevale lobia ovvero loggia; altri la fanno risalire all'Alto-Tedesco lauba, che significava deposito di documenti; infine, in epoca più recente, il termine lobby è servito ad indicare l'anticamera del Parlamento inglese in cui i deputati d'oltre Manica ricevevano vari gruppi di pressione. E' quindi con quest'ultima accezione che il termine lobby è entrato a far parte del vocabolario comune. In realtà per lobby si intende qualsiasi gruppo organizzato in grado di esercitare pressione presso le istituzioni per la tutela dei propri interessi. Più propriamente si intende la pratica del lobbying come rappresentanza legittima dei propri interessi. Chiunque, insomma, può fare attività di lobbying, un'associazione, un'impresa o un ONG, purché rispetti la legge. Ecco un esempio per capire meglio cosa si intende per rappresentanza dei propri interessi. Se per assurdo, il Parlamento italiano stesse per varare una nuova legge che proibisce la vendita di cioccolata al fine di tutelare la salute dei bambini, le aziende che producono cioccolata si organizzerebbero per far sì che quel provvedimento non passi in Parlamento. Per farlo dovrà esercitare il proprio potere di persuasione, facendo pressione sul legislatore e convicendolo dell'inutilità di quella legge. In questo modo, l'impresa sta tutelando i propri interessi legittimi e cioè produrre cioccolata e non vedersi costretta a chiudere bottega. Il caso è estremo perchè ci sarebbero altri interessi in conflitto, quello della salute pubblica, per esempio, che formalmente ispira e legittima il provvedimento. Tuttavia, il caso è esemplificativo del fatto che chiunque abbia un interesse legittimo può rappresentarlo presso il legislatore. Fare lobbying significa quindi guidare le istituzioni pubbliche ad una migliore comprensione della realtà. Le aziende produttrici di cioccolata potrebbero convincere il legislatore del fatto che, se la legge che impedisce la produzione di cioccolata passasse, molte persone perderebbero il proprio posto di lavoro. Potrebbero persuadere i parlamentari che esistono prodotti più dannosi della cioccolata in grado di pregiudicare la salute dei bambini e così via. Il caso appena prospettato non costituisce reato, anche se presuppone una certa regolamentazione e trasparenza l'avvicinamento al legislatore da parte dell'azienda. Al Parlamento europeo, per esempio, esiste un registro di persone che fanno lobby per conto di aziende o associazioni e che possono chiedere un appuntamento con gli eurodeputati per esporgli la propria posizione su una legge nella più totale trasparenza. Lo stesso avviene nel mondo anglossassone, sia nel Congresso americano che nella Camera dei Comuni inglese. In Italia, purtroppo la professione del lobbista è poco nota e spesso ha assunto una connotazione negativa, dato che per lobbista si intende un affarista che tenta di aggirare la legge. Si pensi ai vari Bisignani o alle varie loggie P2 e P3 con comitati di persone che tutto vogliono tranne che motivare la legittimità dei propri interessi di fronte al legislatore.

Il lobbying non è quindi nulla di sporco. Presuppone però la maturità di un paese ad accogliere come legittimo il fatto che imprese, associazioni di categoria o qualsiasi gruppo in grado di organizzarsi possa convincere il legislatore della bontà delle proprie motivazioni in difesa di un loro interesse.
Per quanti volessero approfondire l'argomento, consiglio il libro di Fabio Bistoncini - tra i più affermati professionisti del lobbying in Italia - che con il suo Vent'anni da sporco lobbista ha descritto con impeccabile precisione cos'è la fantomatica lobby e quanto "sporco" sia il mestiere del lobbista.

AV

lunedì 5 dicembre 2011

Manovra Monti: rigore e lacrime


Crescita, rigore ed equità. Poca crescita, molto rigore e una sprizza di equità. Questo a mio avviso il giudizio che si potrebbe dare sui 20 miliardi netti della manovra Monti. Alcuni provvedimenti possono essere condivisibili altri meno, ma resta il fatto che questa dovrebbe essere almeno la prima puntata di una lunga serie di provvedimenti volti a ristabilire l'equità e a rimettere in moto l'economia di questo paese. Bene quindi una manovra di tagli alla spesa corrente perchè calma i mercati (lo spread è finalmente sceso a quota 375), salvaguarda l'euro (dato che il default dell'Italia farebbe saltare la moneta unica) e ci permette il pareggio di bilancio forse già per il 2012. Tappata l'enorme falla sarebbe però auspicabile rimettere in moto la nave e pensare un pò anche alla terza classe di questo Titanic chiamato Italia. Monti lo sa bene che una manovra come quella presentata oggi in Parlamento non serve a nulla senza misure in grado di coniugare sviluppo, sostenibilità, liberalizzazioni e la tanto famosa equità. Chiaro che la crisi la dovranno pagare tutti, ma lo dovranno fare sulla base della propria disponibilità economica e del proprio ruolo sociale, economico e produttivo. 
Duole, specie ai giovani, sentir parlare di tagli e razionalizzazione della spesa pensionistica, ma mi si permetta di spendere un enorme apprezzamento per le lacrime del ministro del welfare, Elsa Fornero, quando ha elencato le tristi misure o meglio i "sacrifici" in materia. "Sacrificio", una parola rimossa dal vocabolario negli anni del berlusconismo, dove chiunque è rimasto narcotizzato da una politica da mercante in fiera e fatta di proclami. Oggi, sorrisi e spettacolarizzazione sembrano ad un tratto aver ceduto il passo alla triste realtà, crudamente sbattuta in faccia. Il nostro paese spende più di quanto guadagna, mentre i soliti furbetti - politici in testa - continuano a fare i free rider. Vedere un ministro che dall'alto del suo scranno, visibilmente commossa, non riesce a pronunciare la parola "sacrificio" è un segno di cambiamento o comunque di un'inversione di tendenza. Monti è ancora in prova, ma lacrime, serietà ed empatia nei confronti di chi si vedrà andare in pensione più tardi e con meno soldi in tasca invitano ad essere un pò più fiduciosi nei confronti del futuro.

AV

sabato 19 novembre 2011

Super Mario Monti

Il governo Monti durante il giuramento al Quirinale
Già battezzato sia alla Camera che al Senato, il nuovo governo è da oggi al lavoro. Quello che adesso i cittadini italiani si chiedono però è se veramente il professor Mario Monti riuscirà a governare questo paese e ad attuare le riforme necessarie ad evitare il default dell'Italia. Una domanda importante, ma la cui risposta non può che venire dal Parlamento. Sì, perchè nonostante la testa del nostro corpo istituzionale stia regalando un'ottima performance (Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio, Monti e Napolitano per intenderci), l'approvazione delle leggi è ancora affidata al Parlamento. Lo stesso Parlamento che votò a maggioranza la tesi per cui Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak. Lo stesso Parlamento ridotto sempre più spesso ad una latrina di urla e insulti. Proprio quel Parlamento che dovrebbe votare abolizione dei cosiddetti privilegi della casta, il taglio delle provincie, una buona legge sul conflitto di interessi, una tassa sui grossi patrimoni, la liberalizzazione di servizi e professioni, l'eliminazione di corporazioni, insomma tutto quello che servirebbe ad ammodernare l'Italia. Ce la farà proprio QUESTO Parlamento? Domanda troppo ardua. Allo stato attuale, c'è un problema di classe dirigente e politica enorme, e l'avvento di Super Mario non lo risolverà di certo. Si può andare avanti a colpi di decreti legge, decreti ministeriali o decreti legislativi? Difficile dirlo, senza una maggioranza convinta su cosa votare. Inoltre sarebbe come spogliare il Parlamento e metterlo là a fare la bella statuina. E allora? Cosa c'è di nuovo sotto il sole? Nulla o quasi. L'unica vera novità su cui possiamo contare, dati alla mano, è che non abbiamo più un governo di nani e ballerine contornato dal folklore eccentrico di fantomatici padani. Abbiamo finalmente un governo serio e degno di questo paese. Si soprendono tutti a vedere i neoministri zelanti e silenziosi, inadatti a fare smorfie o proclami da piazza. Non eravamo abituati da troppo tempo a personalità del genere. Ci sentiamo un pò come su Marte? Siamo davvero degni di un governo così? Stiamo sognando? No signori è la realtà. Nei paesi seri, i governi sono proprio così!   

AV

domenica 13 novembre 2011

E se Berlusconi stesse preparando la sua Salò?


Impazzano i cori da stadio, insieme ai trenini e ai gestacci. Le dimissioni di Berlusconi hanno creato un'atmosfera surreale ieri davanti ai palazzi del potere a Roma, un'aria da finale dei mondiali o da capodanno. Una vera e propria festa. Molti nel centrodestra si sono scandalizzati (men che per i loro diti medi e fora di ball), ma c'era da aspettarcelo. Dopo 17 anni di vita politica contrassegnata da scandali, la "probabile" uscita di scena di Berlusconi dall'adone politico non poteva che essere salutata in quel modo dalla piazza. Un errore? Forse. Un'anomalia? Senz'altro. E la storia della nostra penisola è piena di anomalie e contraddizioni che si ripetono ciclicamente. L'Italia liberata dal fascismo dalle truppe alleate trova a malapena con la resistenza la forza necessaria per cacciare il mostro che ha creato e sopportato per un ventennio. Ci vorranno i vari De Nicola e De Gasperi per ricostruire - con l'appoggio degli americani - un paese disastrato dalle macerie della guerra. E oggi? Le macerie del berlusconismo per fortuna non sono materiali ma non per questo meno pesanti. Si tratta di macerie culturali e soprattutto economiche. Macerie dalle quali sarà impossibile disseppellersi con facilità. Non c'è neppure riuscita l'opposizione a toglierlo di mezzo, colpevole in tutti questi anni di aver permesso a Berlusconi di esistere, vincere e governare questo paese. Ci sono voluti i carri armati delle agenzie di rating e le baionette della BCE per consentire lo sgombero di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi. Oggi, pare che toccherà all'illustre professor Monti ricostruire il paese così come fecero i grandi padri della nostra Repubblica all'indomani del secondo conflitto mondiale. E tuttavia vien da chiedersi: ma sarà davvero così o il professore bocconiano è soltanto il Badoglio di turno e Berlusconi sta preparando la sua Repubblica di Salò sperando in un ritorno al potere? E' un interrogativo a cui nessuno credo sappia dare risposta. Tra persone serie ci si aspetterrebbe la definitiva uscita di scena di Berlusconi, eppure sappiamo di avere di fronte un cabarettista circondato da una corte dei miracoli da Bagaglino. Il videomessaggio di poche ore fa ne è la conferma. Dà l'idea di come Berlusconi non si sia arreso ad uscire di scena così facilmente, nè lui nè i suoi. Anche perchè la sua uscita di scena significa la fine di ogni immunità e di ogni possibilità di manovra sui suoi processi. Perchè un uomo che è andato al potere principalmente per non farsi processare dovrebbe mollare così facilmente? Non è più verosimile invece che il Cavaliere stia preparando la sua Salò. Quella Salò che affossò ulteriormente il nostro paese?
A mio avviso, dai segnali raccolti in queste ore, i festeggiamenti di ieri hanno più il sapore di un 25 luglio del '43 che non di un 25 aprile del '45. Spero soltanto di sbagliarmi!

AV

sabato 29 ottobre 2011

Ottobre, il mese della vergogna!

Uno dei momenti della manifestazione del 15 ottobre a Roma
Se dovessi fare un bilancio del mese appena trascorso, direi che al peggio non c'è mai fine. L'Italia e la sua capitale sono state messe in ginocchio in più di un'occasione in questo triste mese d'ottobre. Basti pensare che ormai il paese è governato per procura dalla Banca Centrale Europea, che ci dice che riforme fare e come farle, visto che il Parlamento è impegnato soltanto a votare la fiducia al Presidente del Consiglio; che il direttorio Merkozy si permette di sbeffeggiare in conferenza stampa il nostro Primo Ministro con facili e infelici risatine; che ci sono voluti mesi e mesi per nominare il nuovo governatore di Bankitalia, nello stupore generale viste le condizioni economiche in cui versa il nostro paese; che bastano quattro teppistelli per mettere a ferro a fuoco un'intera capitale e rovinare una pacifica manifestazione come quella dello scorso 15 ottobre organizzata dagli indignados italiani; che bastano poche ore di pioggia scrosciante per far diventare Roma come Calcutta, con morti, feriti, auto e metropolitane bloccate per un'intera giornata; che all'estero ormai contiamo meno di niente e che l'unica cosa che regge - ancora per poco - sono le nostre tanto vituperate istituzioni e il nostro debole sistema industriale. Per il resto, abbiamo un ubriacone da taverna che si aggira per Palazzo Chigi e che preferisce restare al suo posto e non governare pur di non andare in galera; degli onorevoli deputati che si comportano come affabili cortigiane pur di non perdere il tanto anelato vitalizio; e il mondo che resta a guardare, chiedendosi che razza di popolo è quello che permette tutto ciò! Alcune settimane fa, ad una tavola rotonda a Bruxelles, una giornalista del Sole 24 ORE si è lasciata sfuggire la seguente affermazione: "Altro che Roma caput mundi, ormai è diventata Roma caput Africa". Considerando quello che è accaduto in questo mese credo che mai descrizione fu più appropriata. 
Intanto, mentre Roma brucia, il Nerone di turno suona la lira.

AV

venerdì 30 settembre 2011

Alessio Rastani, l'uomo che sdoganò la verità!

Alessio Rastani durante l'intervista alla BBC (repubblica.it)
Sicuramente chi frequenta la rete si sarà imbattuto in questi giorni nella figura di Alessio Rastani. Si tratta di un broker indipendente che, intervistato dalla BBC sul piano di salvataggio per l'eurozona, con cinica onestà ne ha sparate delle belle. "I politici non governano il mondo, è Goldman-Sachs a governarlo", ovvero una delle più grandi banche d'affari del mondo; e poi ancora: "in meno di un anno spariranno i risparmi di milioni di persone, senza che né mercati né governi possano farci nulla". Oltre alla freddezza con la quale quest'uomo ha fatto queste affermazioni, assieme ad altre del tipo "la notte vado a dormire sognando di svegliarmi con un'altra crisi del debito", quello che colpisce è un'ovvietà che ormai, credo tutti, abbiamo fatto propria: il mondo è governato da multinazionali e gruppi bancari, insomma da soggetti privati e che non sono usciti fuori dalle urne elettorali. E' il fallimento della democrazia? Forse. E' un dato di fatto? Certamente. Qualsiasi governo, di qualsiasi paese, non può nulla di fronte agli squali delle agenzie di rating. Non c'è legge o codice che tenga. E questo perchè, come schegge impazzite, i vari Standard&Poors non hanno regole. Non le vogliono, non le tollerano, se ne fregano. Sono immuni a qualsiasi decisione pubblica. Goldman-Sachs divorerà i vostri (visto che io non ne ho) risparmi? E' probabile. Molto probabile. Nessuno potrà farci nulla se automaticamente vi troverete con il conto in rosso, dall'oggi al domani, con i sacrifici di una vita buttati in aria? E' altrettanto probabile. Tuttavia, è cosa avrete fatto voi nell'attendere che tutto ciò avvenisse la vera domanda. Non avrete più votato questo o quel politico perchè lo ritenete il responsabile della crisi, perchè non governa bene o ha rubato. Vi sbagliate! Il voto non serve più a nulla. Il rispetto delle istituzioni? Balle e balle di formalità che hanno indottrinato le culture occidentali. Prima di rispettare istituzioni, forme e scatole, vanno rispettati i contenuti, i principi, le regole della convivenza e soprattutto gli altri. Quello che questo signore, Alessio Rastani, non fa è proprio quello: non rispetta l'individuo in quanto tale. Lo disprezza. Per lui è un numero in grado di generare profitto. Se perdete la vostra pensione o i risparmi di una vita, non gliene fregherà nulla. Mors tua, vita mea. E' lui più colpevole di altri che quotidianamente, pur non facendo il broker, il politico o l'imprenditore, ispirano la propria vita alla famosa e cinica locuzione latina di origine medievale? Ça va sans dire, la risposta è NO!

AV

mercoledì 21 settembre 2011

Presidente Berlusconi, per il bene dell'Italia vada via!!!

Berlusconi in una delle sue performance
Non mi è mai capitato di scrivere due post a sole 24 ore di distanza, ma la situazione attuale me lo impone. Ieri S&P ha abbassato il rating dell'Italia. Le prime (e uniche) reazioni del nostro presidente del Consiglio sono state: "è una decisione politica"! Non avevamo bisogno di analisi di giudizio, signor Berlusconi. Politica o no, è pur sempre una decisione. Il rating non ha un valore diverso sol perchè lei ha affermato che si tratta di una decisione presa sulla base di chissà quale complotto teso dai suoi ormai innumerevoli avversari politici. Anzi! La sua frase conferma che ciò che le sta più a cuore è ottenere da qualsivoglia mossa o fatto solo un tornaconto per sostenere la sua causa di "latitante della giustizia". La storia di Calimero piccolo, brutto e nero non funziona più. Che lei non è un perseguitato, la sanno anche i muri. Che lei sta invece perseguitando il paese, è qualcosa che gli italiani hanno cominciato a capire. La smetta di stare nel bunker. Glielo chiedono tutti a gran voce. Ha ridotto il paese all'Italietta di caricaturale memoria. Ha messo l'Italia in ridicolo agli occhi di tutti in più di un'occasione. Tolga il disturbo e lasci affrontare la difficile situazione a qualcun altro. Sicuramente, dopo di lei, anche Wanna Marchi saprebbe fare di meglio.

AV

martedì 20 settembre 2011

La crisi europea dei debiti? Siamo governati da inetti!

Caricature: Trichet, Sarkozy, Berlusconi, Merkel e Barroso


Il rischio default per la Grecia sembra aleggiare sempre più come uno spettro sul vecchio continente. Uno spettro simile a quello che per secoli ha caratterizzato la vita dell'Europa, scrivendo le pagine più buie che la storia dell'uomo ricordi. Se la Grecia dovesse fallire, e con essa Italia e Spagna, e se vi fosse la scellerata possibilità del crollo dell'euro, credo che potremmo dichiarare non soltanto il fallimento economico ma anche quello morale del nostro continente. Un fallimento la cui responsabilità ricadrebbe come un macigno sulle nuove generazioni. Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe l'Europa senza l'euro. Ma bisogna anche domandarsi, cosa sarebbe l'euro senza l'Europa. L'Europa della BCE e delle finanze senza un'Europa politica è pura follia, è scelleratezza, è la genesi di quanto stiamo vivendo oggi. Un governo di tecnocrati non più in grado di fermare la speculazione dei mercati messa in azione dalle agenzie di rating e che avanza minacciosa, come un tempo facevano i tank nazisti. 

C'è chi sta lanciando in queste ore l'idea degli eurobond - tra cui l'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, come dichiarato in un'illuminante intervista pubblicata su corriere.it. Eppure, l'Europa continua a mostrare il suo fianco scoperto. Forse nemmeno gli eurobond potrebbero bastare se i mercati continueranno ad oscillare così vistosamente come hanno fatto nelle ultime settimane. Il fatto è che qui non si tratta più di debiti pubblici, di spread tra titoli di stato e Bund tedeschi che si allarga o di cattiva gestione della macchina comunitaria. Il fianco scoperto dell'Europa è ormai l'attuale classe politica che governa l'intero continente, a cominciare dal nostro presidente del consiglio. Cinica, impreparata e sostanzialmente debole, giorno dopo giorno la nostra classe dirigente europea sta consegnando alla speculazione finanziaria, l'intera Europa, stato per stato. 

Duole dirlo, ma da Parigi, a Berlino, passando per Roma e Madrid, siamo governati da inetti. Difficilmente usciremo dal perverso tunnel della speculazione in cui ci siamo cacciati con questi tizi qua!

AV

domenica 11 settembre 2011

11 settembre dieci anni dopo.


Sarà proprio questo, “11 settembre dieci anni dopo”, il titolo di molti libri, documentari e pezzi giornalistici che leggeremo o abbiamo letto in queste settimane a cavallo della data maledetta. Un giorno entrato con forza nella storia dell’umanità. Al pari di Hiroshima, di Auschwitz, così come della Rivoluzione francese, anche l’11/9 è entrato nei libri di storia.
Tuttavia, come spesso accade, la storia si costruisce col senno del poi. Vanno fatti dei bilanci, delle valutazioni che solo il tempo può permetterci di fare. Esperti ed opinionisti in questi giorni si stanno affannando a commentare, analizzare, spesso e volentieri concludendo col negare ciò che affermavano dieci anni fa. Anche questa dopotutto è storia. Alcune conclusioni un po’ più oggettive però credo le si possano ancora fare. La prima è che l’11/9 ha portato gli Stati Uniti verso una sorta di guerra virtuale contro il terrore. Guerra che ha condotto a due conflitti irrisolti come quelli in Iraq e in Afghanistan. Possiamo anche concludere che l’esportazione della democrazia nei paesi arabi, tanto proclamata da Jeorge W. Bush, è fallita, visto che le vere rivoluzioni gli arabi se le sono fatte dall’interno con le loro “primavere” (anche se prevedere come andranno a finire non è ancora dato saperlo). Possiamo anche dire che da anni il terrorismo è stranamente sceso nella scala delle priorità della comunità internazionale, e non perché lo si sia sconfitto del tutto. Abbiamo anche visto che Bin Laden – a quanto pare – non era poi così difficile da catturare. Qualcuno ha anche visto che al di là dello spettacolo sapientemente offerto dalle televisioni di tutto il mondo, dietro all’11/9 ci sono tanti enigmi e misteri irrisolti. Dal crollo delle torri – a quanto pare, improbabile con il solo schianto di un aereo – fino all’aereo che si è schiantato contro il Pentagono, di cui non vi è una chiara traccia video. Certo, in questo decennio di tesi complottiste se ne sono avanzate tante. A partire da quella sul Niger-gate, che poi avrebbe portato al conflitto iracheno, e ben raccontata da un magistrato italiano, Ferdinando Imposimato, nel libro “La grande menzogna. Il ruolo del Mossad, l’enigma del Niger-gate, la minaccia atomica dell’Iran”.
Insomma, di storie, più che di storia, da raccontare sull’11/9 ce ne sarebbero parecchie. È normale che i riflettori in questi giorni sono puntati sulle vittime, su quelle immagini che hanno fatto il giro del mondo e su quei terribili attimi. È un atto dovuto. Una sorta di memoria che deve impegnare ognuno di noi a non dimenticare quanto accaduto. Per ricordare, però, bisogna allo stesso momento capire il perché di quei terribili fatti. La storiella che due arei dirottati da due terroristi in grado di svolazzare felici per i cieli della più grossa potenza del mondo si siano schiantati contro il World Trade Center non sembra più reggere un granchè. Anche per i meno complottisti. 

AV

martedì 26 luglio 2011

Sono finite le lezioni degli inglesi!

Rupert Murdoch in compagnia del figlio James e di Rebecca la rossa
Il primo scossone all'impero di Rupert Murdoch è venuto proprio dal Regno Unito. E' infatti proprio nella terra di John Locke che si sta consumando da diverse settimane a questa parte l'erosione di Newscorp, uno dei più grandi conglomerati d'informazione esistenti al mondo. Il magnate australiano, presente nel nostro paese con il canale a pagamento Sky, è infatti rimasto vittima di una terra che della stampa libera ha fatto la sua bandiera nel mondo. Così, se il giornalismo da quarto potere di tipo anglosassone è ritenuto una delle basi di una democrazia sana, è pur vero che i metodi scorretti usati dal gruppo Murdoch per cucire scandali sensazionalistici hanno di fatto sgretolato un muro di inganni e menzogne. Un mondo fatto di intercettazioni e ricatti, in una commistione tra pubblico e privato che sfiora e oltrepassa ogni limite. Con la complicità di Scotland Yard, l'organismo investigativo per eccellenza nella terra di Sua Maestà, i giornali di Murdoch hanno infatti per anni intercettato e spiato personaggi importanti (da David Beckham a Paul MacCartney fino a Jude Law) svelando poi con scoop da prima pagina sul News of the World retroscena che altrimenti sarabbero rimasti privati. Una pratica assolutamente scorretta quella messa in campo dal giornale, diretto dall'ormai famosa Rebecca la rossa, uno squalo a caccia di notizie a qualunque prezzo. Il resto è tutto dire, con la stessa rossa che viene arrestata e il News of the World che dopo 168 anni è costretto a chiudere. Uno scandalo senza precedenti che ha travolto e rischia ancora di travolgere pezzi grossi del mondo dell'informazione e delle istituzioni britanniche, mentre vi è la non remota possibilità che il caso si estenda a macchia d'olio fino agli Stati Uniti.
Resta comunque un precedente nella storia del giornalismo libero, e per questo nessuno è più in grado di fare moralismi su libertà di stampa e simili. Alla fine della fiera, questo abuso di professione costerà davvero caro, ma non tanto a Murdoch - ormai spalle al muro - quanto all'immagine della stampa anglosassone nel mondo. Una stampa obiettiva, oggettiva e basata sui fatti. Almeno fino a ieri era questo il modello di giornalismo anglosassone. Peccato che oggi anche questo modello sia decaduto di fronte all'evidenza che dietro ogni grande impresa c'è un grande imbroglio.

AV

lunedì 11 luglio 2011

E' ufficiale: siamo sotto attacco!

I ministri delle Finanze di Italia, Spagna e Germania alla riunione dell'Eurogruppo di oggi a Bruxelles.
















"La forza militare non conta piú. Hedge fund ed agenzie di rating prendono il posto di panzer e baionette. A determinare ascesa e caduta di uno stato è la salute dei suoi conti". 

Queste parole sono state scritte poco più di un anno fa in un post da me pubblicato in occasione della crisi del debito greco (leggi il post). Oggi che la speculazione dei mercati finanziari sta colpendo Italia e Spagna quelle parole sembrano risaltare con ancora più forza agli occhi di chi le legge. La parola attacco, mutuata dal linguaggio bellico, domina ormai la realtà dei mercati. Un campo di battaglia nel quale si delinea in maniera netta la possibile ascesa e caduta di uno stato o di un sistema di stati come l'Unione Europea. 

Con l'entrata nel mirino delle famose agenzie di rating di stati come Italia e Spagna (la terza e la quarta rispettivamente economia dell'eurozona) ci troviamo di fronte ad un gioco - quello della speculazione - potenzialmente in grado di far saltare la moneta unica e quindi di destabilizzare l'intera economia continentale, se non mondiale. I gravissimi rischi che corriamo in queste ore non sono infatti legati al semplice ribasso dei nostri titoli di stato, il cui spread rispetto ai Bund tedeschi ha toccato oggi i 280 punti per l'Italia e i 300 per la Spagna. I gravi rischi su cui tutti devono interrogarsi riguardano anzitutto la possibilità che il default  del nostro paese o dei cugini iberici possa tirarsi dietro l'intero continente e quindi decenni di integrazione economica e monetaria. Infatti, se questa macelleria finanziaria dovesse continuare l'euro potrebbe essere davvero a rischio. Di fronte a tutto ciò e al di là degli errori commessi dalle pigre economie dell'Europa mediterranea, in grado di generare solo spesa pubblica, crescita bassa ed elevati tassi di corruzione, l'Europa non può assolutamente permettersi di perdere la moneta unica. 

Sappiamo bene che è necessario un mea culpa. Che i fautori di questo stato di cose sono sistemi sociali e politici molto diversi dai virtuosi stati del nord Europa. Tuttavia, permettere che il fianco scoperto del debito pubblico possa lasciar gioco facile a chi semplicemente alzando una cornetta fa andare giù a picco interi mercati è davvero troppo. Soltanto oggi, Milano ha perso quasi il 4%, e questo nonostante le dichiarazioni rassicuranti fatte oggi dalla cancelliera Angela Merkel sulla nostra manovra finanziaria, in discussione in questi giorni in Parlamento. 

Ora, al di là dei festeggiamenti di rito, nei 150 anni di questa nazione il vero regalo sarebbe poche parole e molti fatti. Il silenzio di questi giorni del nostro premier sembra andare nella giusta direzione. Vediamo quanto dura. 

AV

lunedì 13 giugno 2011

Affluenza al 57%. Vincono i cittadini ... e FB!

"Cominciamo a prendere in considerazione il fatto che è una sconfitta per il governo", dichiara Adriano Celentano intervistato nel tardo pomeriggio da Enrico Mentana nello speciale di La7 dedicato al referendum. In effetti, a detta di molti la vittoria dei sì a questa tornata referendaria è stata l'ennesima mazzata per l'attuale maggioranza dopo la sconfitta alle amministrative.
La privatizzazione dell'acqua, il ritorno alla produzione di energia nucleare e il legittimo impedimento, questi i temi su cui gli italiani sono stati chiamati a pronunciarsi attraverso un referendum abrogativo nelle giornate del 12 e 13 giugno. Quattro schede che il 57% e più degli aventi diritto al voto in Italia ha voluto prendere in mano per apporre il proprio sì contro l'energia nucleare, a favore dell'acqua pubblica e del principio che la legge è uguale per tutti.

Da anni i referendum non raggiungevano il quorum in Italia, riuscendo a superare la soglia del 50% degli aventi diritto al voto. Cosa è accaduto stavolta? Da cos'è dipesa quest'inversione di tendenza?

Anzitutto dal fatto che dal 1995 -  ultima tornata referendaria in cui il quorum è stato raggiunto - in poi i referendum hanno riguardato temi che poco importavano nell'immediato la vita delle persone. Evidentemente, il cittadino italiano ha percepito che avere una centrale nucleare dietro casa o l'acqua privatizzata costituisce un problema molto più importante della più tecnica riforma costituzionale. Altro aspetto, forse più importante, riguarda la sconfitta del governo e della persona del premier. Se non altro perché non passa il quesito referendario sul legittimo impedimento. Un tema questo fortemente legato a quello della giustizia e su cui Berlusconi ha speso oltre 3 anni del suo mandato dal punto di vista della dialettica politica. Sconfitta che se sommata al voto di Napoli e Milano delle scorse settimane non fa altro che indebolire il governo. E non a caso le prime dichiarazioni che tentano di dare il quadro di quanto complessa sia la situazione nella maggioranza arrivano dalla Lega e per bocca di una delle più autorevoli e meno berlusconiane tra le camicie verdi. A poche ore dalla chiusura delle urne, il ministro degli interni Roberto Maroni dichiara infatti seccamente al Corriere: "o si cambia o si vota".
Le percentuali di voto dei singoli quesiti referendari
Last but not least, la vittoria dei sì è la vittoria dei cittadini che tramite lo strumento di democrazia più diretto previsto dalla nostra costituzione, il referendum, sono riusciti a cambiare davvero le sorti della propria quotidianità. E ci sono anche loro, i social network, FB su tutti, che hanno generato una rete e un movimento di opinione in grado di portare alle urne anzichè in spiaggia milioni di persone. E poi ancora, il ritorno al contatto con la gente, con i comitati civici per il sì che sono impazzati da nord a sud per spiegare con volantini, sit in e porta a porta le loro ragioni alle persone. Comitati in grado di far votare anche quei fuori sede come me che non avevano la possibilità di farlo. E' bastata una semplice iscrizione ad un comitato per il sì e la nomina come rappresentante di lista per far esprimere il proprio voto a miglia di persone impossibilitate a tornare a casa per votare nel proprio seggio.

Credo che, a partire da domani, tutte queste vittorie dovranno far riflettere ognuno di noi su cosa significhi partecipazione, democrazia, avere un ambiente più pulito e sapere che la legge è uguale per tutti.

E c'è già chi la chiama una nuova primavera. Staremo a vedere.

AV

lunedì 23 maggio 2011

Da Milano a Napoli. Da Roma a Paternò.

Pisapia anticristo, Napoli ai femminielli e ai trans, le zingaropoli, La Mecca dei gay, Milano Stalingrado d'Italia. Tranquilli, non è il turpiloquio o il delirio di un folle, ma soltanto il linguaggio deciso dal centro-destra per le campagne elettorali di Napoli e Milano. La capitale del sud e quella del nord si sono infatti ritrovate a diventare due luoghi importanti anche per i precari equilibri politici della nazione. Berlusconi stesso aveva trasformato la tornata elettorale appena conclusasi in un referendum sulla sua persona. Ma non è solo questo ad aver fatto di queste due città dei luoghi essenziali per decretare la vittoria ora di questo ora di quello schiaremento. Le problematiche che affliggono da tempo le due città come rifiuti, criminalità organizzata, viabilità, immigrazione e inquinamento, sono infatti fattori da non sottovalutare. E tuttavia, il modo con cui si è deciso di rispondere alle esigenze, o problemi che dir si voglia, di queste grandi città è stato il forse malriuscito tentativo di imbastardire il linguaggio politico con atteggiamenti e codici che vanno dalle squallide manifestazioni fuori dai tribunali per difendere ora questo ora quell'interesse, fino alle inesattezze tirate fuori dal cilindro più per macchiare l'immagine dell'avversario che ad onor del vero. 

Detto ciò, si comprende bene come il centro-destra abbia potuto perdere le elezioni al primo turno. Un sindaco uscente che perde, come ha fatto a Milano la Moratti, o il fallimento palese di una classe dirigente (come quello che riguarda il centro-sinistra a Napoli) che non riesce a far trionfare l'altra parte politica (il Pdl di Cosentino), sono infatti segnali che qualcosa non ha funzionato, al di là del risultato finale del 30/05.

Adesso, a freddo, viene spontaneo chiedersi a chi abbia giovato quello squallore verbale. Sicuramente al deserto di idee che circonda chi decide un approccio di questo genere alla politica, oltre a chi intende seguire l'avversario in questa scelta. Va inoltre fatta un'altra domanda: la gente è stanca di questo linguaggio? Forse un pò lo è. Lo dimostra il voto di Milano che ha portato al ballottaggio un Pisapia - magari carente dal punto di vista dell'esperienza amministrativa - ma comunque in grado di minare la credibilità dell'operato del sindaco di una città che, oltre ad essere la città di Silvio Berlusconi, è anche il simbolo dell'asse Lega-Pdl e di questo governo. Lo dimostra anche Napoli dove l'outsider De Magistris riesce a giocarsi la partita del ballottaggio, laddove le due alternative erano la continuità con la gestione Bassolino/Iervolino oppure quella di un partito il cui presidente deliberatamente annunciava lo stop alle ruspe per l'abbattimento di case abusive, in quella che è la patria dell'abusivismo: «Domani nel mio incontro con i cittadini di Napoli farò vedere che ho pronto il provvedimento che sospenderà gli abbattimenti delle case» (Berlusconi, Radio Kiss Kiss Napoli, 12/5/2011). 

Ora che il centro-sinistra è rimontato dopo anni di sconfitte, sembra facile gridare al lupo al lupo, agitando lo spauracchio delle zingaropoli, dei femminielli e dei comunisti al governo. L'onere della prova spetterebbe a chi ha governato per quasi un decennio il paese sia nelle amministrazioni locali che nel governo centrale. Va dimostrato di aver fatto meglio di queste ipotetiche zingaropoli e Stalingrado d'Italia. Il problema è che non sembrano esistere esempi virtuosi da opporre, da Roma a Paternò (tanto per citarne una).

AV

venerdì 6 maggio 2011

Obama Bin Laden

La morte di Osama Bin Laden rappresenta un duro colpo ad Al Quaeda e al terrorismo internazionale. E' come se fosse stata tagliata la testa al serpente. Tuttavia, l'equazione per cui uccidi il capo di un'organizzazione criminale e automaticamente hai distrutto quell'organizzazione è assolutamente fuori luogo. Se questo fosse vero, fenomeni come la mafia o il narcotraffico sudamericano si sarebbero già estinti, mentre di fatto le mafie e il crimine organizzato si sono sempre reinventati di fronte ai duri colpi ricevuti.

Il problema qui diventa un altro. E risiede tutto nella capacità - spesso dagli esiti fallimentari - di trasformare ogni evento (guerre incluse) in qualcosa di mediatico o potenzialmente tale. Indimenticabile il countdown di Vespa a Porta a Porta nel 2003, alla vigilia della guerra in Iraq. Si contavano i minuti allo scadere dell'ultimatum lanciato da Bush al rais di Bagdad, quasi fosse capodanno. Peccato che i botti che di lì a poco avrebbero sparato erano bombe in grado di provocare miglia di vittime, civili e non. Alla luce di questa continua mediatizzazione degli eventi, la cattura di Bin Laden e la sua eventuale morte diventano oggetto di discussione per l'opinione pubblica di tutto il mondo, soprattutto per i non addetti ai lavori. Tra gli occidentali Bin Laden era diventato il simbolo del terrorismo di matrice islamica e quindi del male assoluto. Un simbolo che negli ultimi anni era stato dimenticato. Tantissime le speculazioni su una sua presunta morte o malattia. Sulla sua figura, che da anni non lanciava i consueti proclami succeditisi a decine dopo il fatidico 11/9, aleggiava da tempo un certo mistero. Era diventato quasi terzo rispetto alle guerre che dal crollo delle Twin Towers in poi si sono succedute. Una terzietà generata non dal suo effettivo ruolo (che c'era ed era rilevante), ma dal racconto televisivo che è stato fatto in questo periodo dai mass media di mezzo mondo, espressione di un establishment politico ed economico indiscutibile.

A questo punto, l'uccisione di Bin Laden sembra quasi come uscire il coniglio dal cilindro. Mentre in tutto il Medio Oriente infiamma una ancora non chiara primavera democratica, la Libia rischia una guerra civile per anni, Hamas stringe accordi con Fatah e la guerra in Afghanistan è lontana dall'esser vinta, la cattura dello sceicco del terrore sembra dare man forte alle posizioni perse in questi anni dagli americani e dagli alleati occidentali. Casualità? Chi lo sa. Sposare la linea complottista non è sempre salutare. Tuttavia, la costruzione mediatica di questo evento - non andata poi a buon fine, visti i falsi di fotografie circolati sul web e la premura con cui ci si è sbarazzati del corpo dell'uomo - non può di certo fermare quei tanti interrogativi che avvolgono ancora il punto cui è giunta la strategia americana in Medio Oriente. Da anni (o forse da sempre) non è dato sapere nulla all'opinione pubblica mondiale se non scoop e propaganda. Una previsione però la si può azzardare. Certo i contesti e le condizioni sono completamente diversi. Ma se è vero che la storia si ripete, sembra quasi di assistere  a quanto accadde all'Unione Sovietica  prima del crollo a cavallo tra gli anni '70 e '80, quando perdeva la sua presa sui paesi satelliti e sull'intero sistema da lei creato.

Analisi a parte. Come ha giustamente fatto notare ieri il principe del foro americano, il celebre avvocato Alan Dershowitz, in un'intervista a corriere.it, è stato un grave errore la mancanza di totale trasparenza su quanto accaduto durante il blitz ad Abbottabad e su cosa sia stato fatto esattamente col corpo di Osama Bin Laden. La pubblicazione delle foto del cadavere tanto annunciata e mai pervenuta. Il modo sbrigativo in cui gli americani si sono sbarazzati del corpo dello sceicco. La prova del DNA di Osama. Tutti errori che di fronte ad una regia mediatica potenzialmente impeccabile sollevano i polveroni dei cospirazionisti, ormai titolati a parlare dal gran regista di tutta l'operazione: Barack Obama. Peccato che questi errori non facciano altro che il gioco dell'altra metà del campo. Che il presidente americano non fosse tanto ferrato in politica estera lo si sapeva da prima della sua elezione. Ma in questo caso, siamo davvero al dilettantismo politico.

AV
   

sabato 23 aprile 2011

Ad personam

Nella perenne lotta tra procure e  Presidente del Consiglio, in questa parodia di guardie e ladri,  Silvio Berlusconi riesce sempre a farla franca. E non perchè sia riuscito a dimostrare la sua innocenza. Tutt'altro. La fa franca solo grazie alla sua posizione privilegiata di orchestratore del Parlamento. Un direttore d'orchestra in grado di far suonare ai suoi la musica più idonea a estinguere i suoi processi. D'altronde, lo ha ricordato lo stesso Carlo Taormina, ex legale del premier, in un'intervista ad Alessandro Gilioli sul blog Piovono Rane. «Ho lavorato per anni per Berlusconi, conosco le sue strategie. Quando ero il suo consulente legale e mi chiedeva di scrivergli delle leggi che lo proteggessero dai magistrati, non faceva certo mistero del loro scopo ad personam. E io gliele scrivevo». Un'ovvietà pazzesca. Un'ovvietà che nessun organo di informazione ha però riportato , troppo impegnata com'è la stampa a dare visibilità alla macchina del fango perennemente pronta ad incriminare le procure, a delegittimare il potere giudiziario e a crocifiggere mediaticamente chiunque si frapponga fra Berlusconi e la tenuta del potere. Una corte di Ayatollah che non fa altro che difendere l'indifendibile e giustificare l'ingiustificabile. E non mi riferisco solo a quei 314 parlamentari che il 14 aprile scorso hanno prostituito la loro onorabile carica votando l'ennesima legge ad personam, quella sul processo breve. Ma a quegli altri 314 che il 6 aprile, avendo sollevato il conflitto di attribuzione sul tribunale idoneo a giudicare Silvio Berlusconi sul caso Ruby, hanno di fatto sostenuto la tesi che la ragazza fosse la nipote di Mubarak. E poi ci sono i cittadini elettori del premier che danno ancora credito a chi ha il solo obiettivo di usare la propria carica pubblica per sfuggire a quei processi che la nostra legge - grazie al cielo - consente ancora di celebrare quando si delinque, si corrompe, si ricicla denaro, si hanno rapporti con il malaffare e così via.

Se è vero che gli esempi che vengono dall'alto - buoni o cattivi che siano - sono in grado di condizionare i comportamenti delle nuove generazioni, è allora altrettanto vero che questa classe dirigente sta offrendo gli spunti per spezzare il tessuto delle regole democratiche riportandoci indietro al far west se non alla legge della giungla.  Quando un ministro della repubblica tuona "fora di ball" con riferimento agli immigrati o esibisce il dito medio ai giornalisti per evitare di rispondergli. Quando un altro ministro manda a fare in culo la terza carica dello stato durante un dibattito alla Camera.  Quando si arrivano a tirare i giornali in testa o a mangiare mortadella e stappare champagne per la caduta di un governo ci rendiamo conto di come la pratica strida molto con la teoria. La gestione della cosa pubblica andava data in mano ai migliori, ai più preparati e non a chi arranca con approssimazione nelle scelte e volgarità nel linguaggio. Spesso ci sentiamo ripetere che è l'italiano a scegliere, il cittadino elettore. Il problema è che ancor prima degli esiti elettorali c'è la legge. In uno stato di diritto non è infatti nè il cittadino nè il Parlamento a stare al di sopra di tutto, bensì la legge. Quella legge suprema che nel nostro paese si chiama Costituzione della Repubblica Italiana.

In un paese spaccato in due, nel perenne con me o contro di me voluto dal caro Berlusconi, è inevitabile l'accentuarsi delle differenze. Specie se la lotta è condotta con arroganza  e ad armi impari come sta facendo l'attuale maggioranza di governo, spesso maggioranza anche in molte amministrazioni locali. Un'arroganza sempre più in grado di creare rancori e mal di pancia che le future maggioranze politiche non dimenticheranno facilmente. Spaccature in grado di portare a vendette personali ed in cui l'oggetto del contendere non è più la gestione ottimale della cosa pubblica, ma una politica fatta di personalismi e beghe. Accorciando i tempi di prescrizione Berlusconi avrà pure salvato sè stesso dal processo Mills, ma non ha affatto salvato il paese. Lo sta invece gettando in una guerra tra bande e vecchi satrapi che avrà inizio con il tramonto del suo impero di carta. E c'è già chi affila i coltelli da tempo.

AV

mercoledì 9 febbraio 2011

Lo sdentato bunga bunga

L'immagine che tra tutte mi ha colpito nella giornata di oggi, e' il primo piano del nostro premier mentre disinvolto spalanca la bocca per mostrare ad una giornalista in conferenza stampa la mancanza di un dente. Cosa abbia a che vedere quel gesto con una conferenza stampa in cui si parla di tutt'altro e' presto detto.

Partiro' da molto lontano. Da quell'istancabile "miracolo italiano" che tanto ha segnato le adolescenze di chi come me nel '93 aveva poco piu' di dieci anni. Siamo a meta' anni '90. Dopo la scuola, all'ora di pranzo, si  guarda Sgarbi Quotidiani su Canale 5, inframezzato dalla pubblicita' commerciale e da quell'inno di Forza Italia che ti fa accapponare la pelle. Parole e musica in grado di suscitare sensazioni epiche, di una grande Italia, che grande e' e che migliore sara' grazie al nuovo messia. Il volto da beato angelico annuncia una rivoluzione. Anche in un ragazzino della mia eta' c'e' la sensazione che in Italia sia successo qualcosa di brutto: tangentopoli, le stragi di mafia, l'uccisione di Falcone e Borsellino. Vedere quel volto gioviale rispetto al resto degli eventi ti rassicura. A quel punto, il passaggio alla personalizzazione della politica e' breve. Lui il leader. Lui l'imprenditore. Lui il tombeur de femmes. Lui e soltanto lui.

Quindi, Berlusconi trasforma l'Italia in un Grande Fratello. Una trasformazione funzionale a quelli che sarebbero stati i suoi comportamenti in politica. Nessun galateo istituzionale e una derisione continua di quelle tanto vituperate istituzioni bacchettone di cui l'italiano medio farebbe volentieri a meno. Eccolo li'. A fare il cucu' alla Merkel, a fare le corna alla foto di rito di un vertice europeo, a mostrarsi alla folla col volto insanguinato, a farsi fotografare con la bandana dopo aver subito un trapianto di capelli. La lista potrebbe andare avanti all'infinito. Il punto pero' e' chiaro. Berlusconi sin dal suo ingresso in politica ha voluto mescolare pubblico e privato, preferendo ora fare il presidente del consiglio ora cantare una canzoncina con Apicella. Ha fatto in maniera volgare cio' che nessun personaggio pubblico dovrebbe mai osare, e cioe' perdere il contegno richiesto dalla carica che ricopre. Una parte degli italiani e' caduta nel tranello, credendo che avere un presidente del consiglio meno bacchettone e piu' alla mano nella scena pubblica potesse giovare all'Italia. Peccato non abbiano capito che le istituzioni che si rappresentano sono una cosa seria e che i comportamenti cui ci ha abituato il premier le hanno derise e infangate quasi sempre agli occhi dell'opinione pubblica internazionale.

Ritornando alla storia del dente - spettacolo indecoroso - spalancare la bocca dinanzi a tutti per mostrare la mancanza di un dente che non ti puoi sistemare perche' troppo impegnato a governare non e' nient'altro che il frutto di questa tragedia. Nessuno ha mai osato tanto, ne' oserebbe mai. Da Casini a Fini, a Tremonti o a Napolitano. Se un primo ministro non riesce a trovare il tempo per andare dal dentista non e' infatti una questione che ci riguarda.  Ci interessa sapere se ha pagato delle minorenni per andarci a letto, se la sua vita privata e' legata ad ambienti malavitosi o se mente al popolo italiano. Se proprio non ce la fa piu' senza quel dente, possiamo darle un consiglio presidente. Frequenti piu' studi dentistici e odontoiatrici e faccia meno bunga bunga. Vedra' che il tempo lo trova.

AV

lunedì 17 gennaio 2011

Agenda 2011

Nonostante siano passate solo due settimane dall'inizio dell'anno, gli avvenimenti di questi primi giorni ci hanno dato un ottimo assaggio di cio' che sara' l'anno che verra'. 

Politica italiana

Dopo la pronuncia della consulta sul leggittimo impedimento e l'inchiesta della procura di Milano sul caso Ruby, le elezioni potrebbero essere più vicine.  Se a cio' si aggiunge che la settimana che abbiamo davanti sara' decisiva per l'approvazione degli ultimi decreti sul federalismo, possiamo ben dire che ci troviamo di fronte al bivio. Infatti, l'impunità del premier e il federalismo per la Lega sono gli unici due motivi che tengono attaccata la spina di questo esecutivo. Se uno dei due dovesse saltare il ricorso alle urne sarà cosa certa.

Fiat

Dopo il sì al referendum su Mirafiori, l'Italia sarà costretta a cambiare le regole che riguardano il mondo del lavoro. L'abbassamento di alcuni diritti ed una polarizzazione dello scontro tra sindacati ,lavoratori e imprese potrebbe di fatto portare a dei cambiamenti radicali nel sistema di relazioni che riguarda il lavoro in Italia.A minacciare questo stato di cose sono soprattutto globalizzazione e crisi, gli unici veri fattori che tengono sotto scacco sistemi deboli come quello italiano. Tra i tanti nodi che questa vittoria di Pirro di Marchionne presenta c'è poi l'uscita di Fiat da Confindustria - decisione questa che potrebbe far tremare Viale dell'Astronomia -e il futuro della Fiom, il più importante sindacato dei metalmeccanici. 


Crisi

Nemmeno quest'anno vedremo assopirsi la crisi economica che dal 2008 ha travolto l'economia globale. Con tutta probabilità, dopo Grecia e Irlanda, la prima metà dell'anno vedrà il Portogallo chiedere aiuto all'Europa per salvare dal disastro le sue finanze pubbliche. A quel punto, potrebbe essere il turno della Spagna e quindi dell'Italia. Intanto, si apprende che gli aumenti delle bollette energetiche e delle altre tariffe potrebbero gravare sulle tasche dei consumatori italiani per oltre mille euro in più nel 2011. 

Elezioni

In Italia si voterà per il rinnovo di città importanti come Milano, Torino, Napoli e Bologna, ennesimo test elettorale per la litigiosa politica italiana. Gli appuntamenti più importanti saranno pero' i tre referendum, appena resi ammissibili dalla consulta: quello sul leggittimo impedimento, quello sull'acqua pubblica e quello sul nucleare.
Dallo Zimbabwe al Congo, saranno chiamati a votare paesi come l'Egitto - con Mubarak al capolinea - e la Nigeria. Dopo il sì all'indipendenza del sud cristiano in Sudan, si attende invece di vedere che ne sarà del paese di Bashir, soprattutto dal punto di vista della stabilità dell'intera regione africana. Il  Sudan potrebbe  infatti travolgere con sè aree già da tempo infiammate dal fondamentalismo islamico (Somalia, Nigeria, ma  potenzialmente anche l'Egitto). C'e' inoltre da vedere quale influenza avra' la guerra civile in Tunisia su paesi come l'Egitto, la Libia e l'Algeria. 
Altre elezioni sono quelle che vedranno la Turchia votare (forse) per l'ultima volta il premier conservatore e filoislamico Erdogan. Nel frattempo, Francia e Stati Uniti si preparano per la lunga campagna elettorale che sfocierà nelle presidenziali del 2012. Infine, in autunno scade il mandato a Trichet, presidente della BCE. A succedergli potrebbe essere l'italiano Mario Draghi, fortemente osteggiato pero' dalla candidatura tedesca di Axel Weber, attuale presidente della Bundesbank.



Altro

L'Italia celebrerà quest'anno i suoi 150 anni in mezzo alle tante polemiche  nord-sud e forse nell'ennesima instabilità politica. L'11/9 sarà invece il primo decennale del tragico attentato che ha sconvolto l'America e il mondo intero. Al via da quest'anno il divieto di vendere i superinquinanti sacchetti di plastica che hanno contraddistinto l'era del benessere degli ultimi 40 anni. Nozze reali, invece, tra William d'Inghilterra e la storica fidanzata Kate Middleton il prossimo 29 aprile a Westminster, e tra Alberto di Monaco e Charlene Wittstock, legata al principe dal 2006.