martedì 28 settembre 2010

Dalla kefiah alla videocrazia


Per fortuna che ogni anno il regime videocratico più potente d’Europa ci dà un pò di tregua durante il periodo estivo. Ovvıamente l’obiettivo è quello di far mettere in pratica appreso durante l’anno videocratico ai tanti bagnanti da Fregene a Rimini passando per Taormina. Così, fatta fuorı un'estate di "bire e calippi" tornano i vari Grande Fratello, Mattino 5, X Factor, Uomini e Donne, L’Isola dei Famosi, La Vita in Diretta del premiato teleficio Raiset.
Un altro anno. Le ennesime nuove edizioni di pastoni che non hanno più bisogno di presentazioni. Avremo dı nuovo i soliti reality senza realtà pronti ad allietare giovani avvenenti, donne di mezz’età ed una folta schiera di minorenni inconsapevoli. Ma la monotonia per questo nuovo anno televisivo non è garantita affatto, visto che la presenza della fascia degli attempati, si vedra' finalmente rappresentata (altro che partito dei pensionati!) . Da Velone agli incontri senili della De Filippi nel pomeriggio videocratico, per loro si prevede una stagione di fuoco. La saggezza che un tempo trasmetteva il sol essere anziano tramonta in un secondo, giusto il tempo di fare zapping. Anche a loro – un tempo deputati a dispensare proverbiali consigli - viene adesso dettata l’agenda videocratica. Quali locali alla moda frequentare la prossima estate. Come attraccare in discoteca (senza scafo, s’intende). Per non parlare della lingerie per lei e della migliore marca di viagra per lui. Laddove l’erba più non cresce, la videocrazia riesce a far miracoli.
Essa orienta, crea mode e tendenze, snatura simboli e muta tutto in una fiction perenne. Grazıe a lei, la kefiah, da simbolo rivoluzionario può diventare accessorio mondano. Sempre grazie a lei, la percezione stessa degli eventi vıene trasformata, facendoci commuovere per tragedie lontane chilometri (il terremoto di Haiti) e restare indifferenti di fronte al cadavere in spiaggia (Napoli, luglio 2009).
Si riaccendono i riflettori dell'ormai indiscutibile vangelo degli italiani. Per una proprietà transitiva della videocrazia – se lo dice la tv è vero - riusciamo anche a credere che l’affaire monegasco di Fini sia più grave di tutte le vicende giudiziarie che vedono imputato il Cainano. Per la stessa proprietà, quello stesso popolo può riscoprirsi giustizialista, appassionarsi al giornalismo d’inchiesta di Vittorino da Feltri e ai processi in tv di Gianluigi Paragone.
È un popolo. Un esercito. Formato e asservito negli anni. Legge poco. Guarda molto. Si nutre di immagini e simboli. Non va oltre. Si ferma all’apparenza. Fa iıl tifo allo stadio come se stess andando in guerra. Sa chi ha vinto l’ultimo GF ma non chi erano Rocco Chinnici, Rosario Livatino.
A vedere bene, l’operazione intrapresa dal videonano ha sortito il suo effetto. Per fortuna eviterò di circondarmi per l’ennesimo anno di una generazione che degenera. Domani parto per la Turchia. Per fare quello che il mio paese non mi ha permesso di fare. Lavorare. Ma d’altronde, di che mi lamento, in videocrazia funziona così.


AV

martedì 21 settembre 2010

Cinismo, soldi e profitto

Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (Museo del Novecento, Milano)
Cinismo, soldi e profitto. Sono tutti vocaboli di quel racconto che è il mondo di oggi. Non troverete mai una narrazione così spietata come quella che oggi si presenta dinanzi ai nostri occhi, alle nostre vite, alla nostra quotidianità. Non si tratta di cassandre o uccelli del malaugurio ma soltanto di fatti e realtà. La cruda realtà di un tempo che tutti viviamo in maniera piena nelle sue infinite forme e sfumature. È un cinismo smisurato che porta con sé una logica egoistica in grado di attraversare la società in maniera trasversale. Ogni sua relazione ne viene coinvolta, da quelle più intime alle relazioni professionali. Vecchi proverbi come il famoso “nessuno fa niente per niente” pronti a riempire le pagine della nostra giornata. Leggi violate. Diritti violati. Ma soprattutto, persone violate.

Per chi come me crede profondamente nel valore di cui ogni singolo individuo è portatore, il sol pensiero di vedere l’altro come oggetto di un meccanismo individuale è insopportabile. Abbiamo perso il contatto ed il dialogo, e con essi la speranza. Si intravede solo paura all’orizzonte. Del futuro, dello straniero, dell’immigrato e del diverso, oppure dell’innovazione. Di chiunque e di qualunque cosa. Una guerra di tutti contro tutti di hobbesiana memoria, il cui fine non è affatto collettivo bensì personale ed individuale. Solo uno vincerà. Che sia una lobby od una singola persona non importa. L’uno relativistico è ormai il numero di questo tempo. Siamo a livelli di povertà intellettuale, oltre che economica, inimmaginabili. Essere poveri non significa più mendicare, ma lavorare sapendo di non avere un futuro. Lavorare nella precarietà perenne che toglie identità e speranza, lavorare a basso salario vedendosi i propri diritti calpestati in una perenne Pomigliano d’Arco. Abbiamo preteso troppo da questo tempo e alla fine questo si è fermato. E noi con lui. Nessuna ricetta che possa soppiantare il vecchio capitalismo. Le idee sono ormai tramontate e con esse la speranza. Abbiamo vissuto il tempo di massima espansione economica e di massima riduzione del divario ricchi-poveri. Quel tempo è finito. La forbice tra i più abbienti e i meno abbienti si è allargata sempre di più. Un cinismo che ha reso la distribuzione delle risorse – naturali e prodotte – una sorta di corsa all’oro del Klondike.

Presto troveremo una riedizione di un racconto lontano secoli addietro. Con il principe sempre più in festa e il popolo sempre più in miseria. È una fase di transizione. Va dunque detto che prima ci renderemo conto che arriveremo ad un allargamento della forbice ricchi-poveri; prima capiremo che la classe media in cui si sono emancipati i nostri nonni operai verrà annientata; prima capiremo che il mondo si dividerà - come è stato per secoli - in sudditi e potenti; prima capiremo che stracceranno il nostro lavoro e i nostri studi gettandoli nel vortice della precarizzazione; prima capiremo che è necessaria una nuova lotta di classe per ristabilire il cammino perduto verso la giustizia sociale. Prima avverrà tutto ciò e meglio sarà.

Per farlo la parola d’ordine è sobrietà, mentre la sua traduzione in pratica sarà l’eliminazione dello straripante magazzino del superfluo. In caso contrario ci attenderanno soltanto cinismo, profitto e soldi. E questi ultimi non saranno certo per noi.

AV

mercoledì 15 settembre 2010

Prostituzione di Stato


Mi chiedo cosa ne pensano le donne del Pdl delle parole di Straguadagno? Cosa ne pensa Daniela Santanché, paladina della lotta alla prostituzione? E la ministra Carfagna? Qual è l’opinione di una donna avvenente alla guida di un ministero che promuove pari opportunità e lotta ad ogni discriminazione? Se la sente di condannare le parole del deputato Pdl? Nei giorni scorsi Stracquadanio aveva detto: per far carriera è lecito usare quello che uno ha. Quindi, il proprio corpo, il proprio potere, il proprio denaro, le proprie armi e forse anche la propria intelligenza. Insomma, come Craxi nel 93 abbatté il muro dell’ipocrisia sulla corruzione, Stracquadanio squarcia il velo sulle Messaline di Stato. D'altronde, nel verbo berlusconiano è normale che una bella donna usi il proprio corpo pur di far carriera. Vanno però evidenziate le falle di questo ragionamento che si vuole sdoganare in politica, visto che a parlare non è stato Riccardo Schicchi ma un deputato della maggioranza. L'egoismo di fondo che sottende quel ragionamento non ha infatti nulla a che vedere con lo spirito della politica: operare nell'interesse comune. Quelle affermazioni prevedono soltanto gli egoismi materiali del piacere sessuale per l'uomo e della brama di denaro e potere per la donna. In sostanza, nulla a che vedere con la funzione della politica: il raggiungimento del bene comune. Da un lato, l’uomo che vuol svuotarsi le palle con la gnocca di turno piuttosto che con la moglie chiattona, conosciuta ai tempi in cui faceva il lacchè a salario minimo. Dall’altro, l’escort a tariffario alto che aprirà le gambe per una poltrona, decretando la morte di sè stessa e del ruolo che ricopre. Ma c'è di più. Sdoganando il "te la do ut des" nelle più alte sedi istituzionali - ormai deputate a discutere di puttane e puttanate - si lancia un messaggio ad intere generazioni, con l'effetto di una vera e propria induzione alla prostituzione a mezzo stampa! 

La cosa strana è che qualche giorno fa anche la finiana Angela Napoli aveva fatto affermazioni simili. Abbattendo per prima il muro dell’ipocrisia, la Napoli disse che alcune deputate (grazie alla legge nomination) si erano prostituite pur di essere elette in parlamento. A quel punto, le si è scagliata contro una fanteria di pidielline imputtanite ed incazzate. La deputata chiede alle colleghe del Pdl perché si stiano incavolando proprio loro, visto che non aveva chiamato in causa nessun partito. Rispondono che quelle parole sono un’offesa, a prescindere. Tuttavia, giorni dopo, quando ad Angela il censore si sostitusce con più libertina legittimazione "Straguadagno", quasi scoppiavano gli applausi!

Morale della favola? È vero che sia la Napoli che Stracquadanio hanno squarciato il velo dell’ipocrisia. Ci sta pure che quasi tutte le troniste del parlamento l’hanno data al capo dei capi per essere elette. C’è però una sottile differenza tra i due approcci. Tra quello della Napoli che condanna il comportamento in sé, in nome di una politica meritocratica. E quello di Stracquadanio, atto a legittimare la prostituzione di Stato, categoria ultima di quella mignottocrazia in cui tutti, uomini e donne, hanno prostituito corpo e idee pur di arrivare.

AV

sabato 11 settembre 2010

11/9. Una data per dimenticare!

Ground Zero
Sono passati nove anni da quei tragici attentati, e come ogni anno assistiamo allo stesso spettacolo. A ridosso dell'11/9 cresce infatti l'impegno nel far crescere il livello di allerta e il rischio di attacchi terroristici. Tutti i ministri dell'interno dei paesi occidentali si accapigliano per emettere i consueti bollettini di guerra, avvertendo qua e là che la minaccia del terrorismo è reale e non è ancora terminata. Insomma, il messaggio è sempre lo stesso, forte e chiaro: la guerra al terrore non è finita. Al Qaeda c'è ancora e Bin Laden è sempre il nostro nemico numero uno. E così, quella che dovrebbe essere la giornata della memoria, l’11/9 del “Siamo tutti Americani”, si trasforma nell'ennesima giornata per riaffermare quelle guerre e rilanciare l’attacco. Lo scontro di civiltà. La lotta all’immigrazione clandestina perché esporta il terrorismo qui da noi. La logica amico-nemico. Gli argomenti e i pretesti sono infiniti pur di ribadire quel concetto.

Quest’anno l’attenzione dei media si è invece concentrata sulle follie del “reverendo” Terry Jones, pastore con la pistola che anziché studiare bene le scritture della sua religione (tutte ispirate all'amatevi gli un gli altri) pensa bene di bruciare le scritture altrui, inventandosi il "Burn a Quran Day" e allo stesso tempo tradendo il proprio credo. Fortunatamente una panzana. Una bravata. Una simpatica bravata che ha però distolto, anche quest’anno, l’attenzione sul grande interrogativo. Chi c’è dietro gli attentati dell’11 settembre? Decine di associazioni composte dai familiari delle vittime attendono da tempo risposta sugli infiniti enigmi che ruotano attorno all'11/9. Un’America stranamente vulnerabile che in un solo giorno permette ai simboli dell’economia e al santuario della difesa (il Pentagono) di essere distrutti con uno show che ha incollato tutto il mondo agli schermi. Nessuno si interroga. Nessuno chiede più spiegazioni. I circuiti internazionali mandano a ruota quelle immagini. La catastrofe. La tragedia.

E già! È molto più facile continuare ad impressionare con questo tipo di narrazione che mettere in scena gli infiniti interrogativi che circondano quella data e tutti i suoi vigliacchi complici. Da Bush jr al Mossad. Da Al Quaeda a Robert Gates. Dal petrolio alla sicurezza di Israele.

AV

giovedì 9 settembre 2010

The show must go on, caro Tomizawa


Ha dell’assurdo quanto accaduto domenica scorsa durante la gara del Moto2 Gp di San Marino. Continuare a correre nonostante un concorrente di quella gara, il diciannovenne Shoya Tomizawa, fosse morto durante la stessa è qualcosa che dovrebbe spingere chiunque ad indignarsi. Ho ascoltato in radio le dichiarazioni di Valentino Rossi. Affermava che sarebbe stato giusto fermarsi, salvo poi commentare l'esito della gara dal punto di vista sportivo. A quel punto, ho avuto la sensazione che per quella infelice scelta di continuare a correre ci si scandalizzasse giusto il tempo di un battito d’ali. Soltanto un giorno o poco più. Poi via nel dimenticatoio. La normalità. La morte di un giovane scompare di fronte al mercimonio che circonda ogni tipo di show ed ogni genere di spettacolo. Tutto diventa ascrivibile all’ordinarietà degli eventi. Fermare la gara non lo avrebbe riportato in vita, ho sentito dire. Sarebbe stato però un modo per ricordare. È come dire che non serve commemorare le vittime di stermini e stragi perché non le riporterebbe in vita.

E così, l’informazione che spesso e volentieri orienta comportamenti e costumi ha di fatto assecondato l'onnipresente show must go on, con la morte di un ragazzo ridotta a poco più che un fatto. Nella narrazione degli eventi c'è addirittura più spazio per commentare l’esito della gara – il Fatto – che non per il decesso – divenuto soltanto il fatto nel Fatto. I circenses del XXI secolo hanno ormai assunto una funzione ed un peso maggiore rispetto a fatti tristi e di rottura come la morte. Tuttavia, essendo profondamente convinto del rispetto che merita ogni singolo individuo nelle sue infinite manifestazioni, liquidare quell'episodio a mera ordinarietà è per me inaccettabile. Così come è inaccettabile dover assistere quotidianamente nei TG ad un elenco numerico di gente morta in circostanze molto più drammatiche. Da Baghdad a Kabul, numeri, statistiche, cose e non persone. È così che si riduce l’importanza agli occhi del pubblico di quelle vite spezzate. Come carri bestiame, quei numeri fanno parte di uno sterile elenco che non aggiunge null’altro a quelle cifre. Un modo per snaturare il rispetto assoluto che merita il singolo individuo, in quanto uomo e in quanto portatore di una sua storia personale. Va invece ridata forza al linguaggio, alle parole, alla narrazione dei fatti. Raccontarli senza assecondare i desideri dei potenti. Bisogna orientare lo sdegno e l’indignazione necessari a far ribellare chiunque alla dittatura mediatica ed economica di soggetti che – come i signori che stavano dietro quella gara motociclistica – hanno a cuore solo il profitto. Va fermato l’estremismo di qualsiasi ragion di stato in grado di fare macelleria di tutto e tutti pur di mantenere in vita una sporca ragnatela di interessi. Sarebbe un modo per ricordare, per fare memoria, per non cadere nella tentazione che non ci si debba mai fermare di fronte alla morte di una persona in nome di un interesse qualsiasi, specie se insulso come quello di una gara, di un gioco, di un momento di ozio.

Tempo fa ci si scandalizzò, senza però condannare, perché alcuni bagnanti continuavano a godersi la loro giornata di mare nonostante in spiaggia vi fosse un cadavere. Ma questi fatti sono tutti figli di un unico orientamento comportamentale, quello che riduce l’uomo a cosa, oggetto e non lo innalza mai a persona. Egoismi ed autoreferenzialità sembrano dominare, in un’orgia di spregiudicatezza materialistica. Sono invece convinto che in questo postmodernismo, diventato ormai anche post-umanesimo, bisogna combattere per riportare al centro l’uomo, la sua dignità, la sua soggettività, indipendentemente dal ruolo ricoperto in società e al di là di ogni interesse.

AV 

lunedì 6 settembre 2010

Perchè Fini non mi ha convinto


Dirò brevemente del perché Fini non mi ha convinto. E non lo dirà un vecchio elettore di Rfc, figlio di un militante del PCI ed il cui nonno è stato partigiano. Lo dirà uno che ha votato An, la cui famiglia ha militato nell’Msi e il cui nonno ha vissuto la stagione del fascismo non certo da partigiano.
Mirabello è un passaggio essenziale. Un'ulteriore sterzata liberale da parte del Presidente della Camera. Potrei pure sposare la filosofia di pensiero che sottende il ragionamento fatto ieri da Gianfranco Fini, visto che anch'io sono un liberale. E vi dirò di più. Poiché sono tra quelli che credono che l’assenza in Italia di un partito liberale forte stia alla base di innumerevoli sciagure politiche della nostra penisola, auspico vivamente la nascita nel nostro paese di una nuova forza liberale. Tuttavia, per farlo, non bastano i Granata sulla platea nazionale contro i Nino Strano a livello locale. Così come, non basta parlare di riforma della giustizia facendo riferimento alle proposte di Vietti (patron della legge sul falso in bilancio) e Pecorella (autore dell'incostituzionale legge sull’inappellabilità da parte del pubblico ministero delle sentenze di proscioglimento). Non basta nemmeno fare della propria espulsione dal Pdl il casus belli della rottura. Bisogna avere il coraggio di dire che si esce dalla maggioranza perché non si può sostenere un piduista, corruttore e pluriprocessato come Berlusconi. Cosa accadrebbe se si ritirasse il deferimento ai probiviri dei tre finiani e l’espulsione di Fini dal Pdl? Si voterebbero ancora – come si è fatto per 16 anni – altre leggi vergogna? Non sa Fini che a Berlusconi serve un provvedimento per non farlo processare a inizio 2011 (processo Mills)? Cosa farà? Glielo vota o no? Si limiterà alla formula strappa applausi Dottor Stranamore o combatterà quei provvedimenti (lodo Alfano bis, processo breve e lungo, legittimo impedimento)? Sì è vero Fini ha parlato di noi giovani. Del fatto che bisogna pensare a loro in termini di lavoro, studio e meritocrazia, mentre il Burlone pensava ai giovani in termini di weekend perenne, bella vita e indebitamento pur di apparire strafighi alla miriade di Billionaire sparsi per l’Italia, dal Mà di Catania all’Hollywood di Milano. Ma la privatizzazione dell’acqua e il nucleare - che Fini pare sposare - ci daranno davvero un futuro migliore? Criticare le discutibili amicizie internazionali del Cainano, ovvero Putin e Gheddafi, per poi strizzare l'occhio a Sarkò renderà migliore l'Europa e la nostra politica estera?

Certo, al PD che ha abnegato la sua ragion d’essere sembrerà normale infilarsi nell'ammucchiata posticcia tra Fini, Casini e Rutelli in nome di non si sa bene cosa. Ma il Fini della destra liberale e di Granata che interesse può avere ad allearsi col partito dei Cuffaro, dei Caltagirone, dei voltagabbana alla Rutelli (Radicali-Margherita-Ulivo-PD-Api), delle cricche e della democristiana e poco laica area di centro? Poltrone e sofà? E che dire dell’ex colonnello di An Gasparri, oggi vassallo di Berlusconi, che nel 2003 pare vantasse frequentazioni con la ‘ndrangheta in grado di farlo eleggere? Lo faceva all’insaputa del nuovo difensore della legalità Gianfranco Fini? E per concludere. L’affaire monegasco, la casa di Montecarlo ereditata da An, è stato sufficientemente chiarito oppure no?

Vi ho convinto? Qualora lo avessi fatto, non era mia intenzione. É invece nelle intenzioni del Presidente della Camera convincere gli italiani della nascita di una nuova forza liberale. Vedremo. Al momento tra voti di astensione, giochi del cerino e Casini vari, la strada appare tutta in salita.


AV

venerdì 3 settembre 2010

Se Dalla Chiesa ...

L'auto del generale Dalla Chiesa dopo l'attentato
Se a suo tempo Dalla Chiesa avesse ricevuto il supporto dello Stato. Se gli uomini che hanno combattuto questo cancro che da anni divora la mia terra avessero avuto dalla loro parte anche lo Stato. Se le istituzioni che a parole dicevano di voler sconfiggere la mafia avessero davvero supportato con i fatti quelle parole. Se la classe dirigente siciliana non fosse stata talmente debole da cedere alle lusinghe della piovra, diventando collusa. Se la morte dei miei eroi fosse davvero servita a vincere la guerra. Se quella guerra fosse stata davvero dichiarata dallo Stato e non solo da un gruppo sparuto di uomini, veri e propri servitori di questa terra. Se quella guerra fosse davvero stata vinta. Se anni ed anni di soprusi, miseria e paura fossero davvero stati troppi. Se qualcuno avesse avuto a cuore il bene di questa terra di Sicilia. Se molti miei conterranei non avessero voltato le spalle al loro popolo in nome del potere, del denaro e dell’avidità. Se la ragion di stato fosse stata boicottata in nome della ragione del popolo. Se quelle mani insanguinate non fossero state manovrate da menti lucide e ciniche. Se la politica non si fosse così putidamente collusa. Se almeno la voce della gente e della sofferenza fosse stata ascoltata. Se questa non si fosse piegata al loro volere. Se l’intero popolo siciliano non avesse avuto paura. Se le pallottole e i fiumi di sangue per le strade della Trinacria non avessero fermato tutti noi. Se lo stato avesse chiesto scusa. Se molta più gente si fosse indignata. Se tutto questo fosse avvenuto oggi commemoreremmo con meno ipocrisia Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie, Emanuela Setti Carraro, e l’agente di scorta, Domenico Russo, barbaramente uccisi alle ore 21.15 del 3 settembre del 1982, in via Isidoro Carini, a Palermo. Li ricorderemmo come davvero meriterebbero. Con rispetto. 
« [...] ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla. »
Mangano è il vostro eroe. Dalla Chiesa il nostro.

AV